Nord e Sud - anno XIX - n. 151-152 - lug.-ago. 1972

Massim.alismo, trasforn1is1no, riformis,no perciò non solo quando il fine che si procla1na di voler raggiungere, ma rispetto al quale si rimane inerti, è la rivoluzione, bensì anche quando è la riforma; ogni qual volta questo fine sia proclamato e non voluto realmente, perseguito nella propaganda o in una legislazione inefficace, senza disporne i 1nezzi né aver coscienza dei sacrifici necessari per raggiungerlo. Ogni svalutazione della politica presente, la sola reale, su cui si muove il contrasto e l'accordo dei partiti, per una politica futura molto più vasta e desiderabile, « voluta dalle masse », è massimalismo. Devo ricordare che quella lettera agli « Amici di Romagna » di Andrea Costa, in cui Valiani ha ravvisato « l'atto di nascita del massimalismo italiano~>, propugnava per l'appunto in primo luogo la conquista delle amministrazioni e del potere politico, avvertendo però in pari tempo che, attraverso le riforme con tali mezzi tentate, e a cui la borghesia si sarebbe opposta con la forza, il proletariato avrebbe acquistato maggiore coscienza della ineluttabilità del fine rivoluzionario, per il momento accantonato? In ogni caso, quel che è accaduto ai governi di centro sinistra è appunto la pratica di un cotale massi1nalismo: l'affermazione della necessità delle riforme senza una esatta scelta, una valutazione di esse, dei loro effetti, della loro « digeribilità » da parte di un sistema che si affermava, almeno in principio, di voler mutare e far evolvere, e non rovesciare. E tanto più è tipico che il problema balenasse, sia pure in forma paradossale, già prima dei governi demolitori di Rumor e Rumor - De Martino, nel periodo immobilista e stagnante di Moro, discutendo quale brano o abbozzo di riforma potesse ancora « passare » prima delle elezioni (e fu scelta non a caso la più indeterminata: quella della legge per le Regioni; e per volontà prevalente di Francesco De Martino). Se diamo, in effetti, uno sguardo indietro al panorama delle « riforme » compiute nel quadriennio di quella che si può considerare la vera legislatura di centro sinistra, conclusa con lo scioglimento delle Camere, vediamo accanto al cirr1itero delle riforme dalla chiara linea di incidenza sulla vita dell'uomo comune e soprattutto del lavoratore (le famose case scuole ospedali, ma anche la giustizia più rapida e certa, la equa distribuzione dei carichi), l'attuazione di riforme che redistribuiscono un po' a tutti potere, senza ben definirne e garantirne l'uso. Tale è, in molte sue parti e in ogni caso nei suoi effetti irreversibili, lo « statuto dei lavoratori », astratto dalla disciplina sindacale che la Costituzione suppone concretata nella legge e che in ogni caso non è stata attuata neppure 7

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