• Giornale a più voci popolazione giovanile. Orbene, proprio qui l'efficientismo del discorso è, a mio parere, più apparente che reale. Rischia cioè di sfociare in soluzioni reazionarie, e di dar luogo ad un processo involutivo, che in definitiva non gioverebbe neppure alle necessità più immediate e brutali del mercato del lavoro. Infatti, ora più che mai, occorre ribadire che il diritto-dovere di dare a tutti i cittadini una formazione unitaria, sulla base di un principio educativo comune, deve essere rivendicato dalla scuola di Stato, per un periodo adeguatamente lungo della scolarità, come suo scopo primario. Tale principio educativo, ovviamente, non deve essere situato in una reductio ad unum comunque motivata, che privilegi talune discipline, riproponendo. il modello retorico degli studia humanitatis, non importa se con vecchi, o con apparentemente nuovi, contenuti. Né deve costituire il trionfo di una « cultura generale » esornativa e inutilizzabile nell'attività pratica. Ma, stabilito questo, è estremamente pericoloso ipotizzare un sistema di formazione professionale alternativo a quello delle istituzioni scolastiche, sia pure garantendosi che abbia, nei riguardi di queste, « pari dignità ». Anzi, proprio tale « pari dignità», affermata a priori, e peraltro indimostr.abile, può costituire un alibi per poi fornire, ad una larga parte dei cittadini, una istruzione di fatto dequalificata, e ridotta ad essere solo un rapido addestramento per mansioni irreversibilmente subalterne. Del resto, in questo campo il linguaggio della « Carta della scuola» di Bottai, l'esaltazione retorica del lavoro, del « lavoro delle mani», asservita a finalità discriminatorie e classiste, avrebbe dovuto già costituire un esempio convincente dei rischi insiti in certa mentalità manageriale che talora, con sbrigativa buona fede, si ritiene « realistica ». È da presumere infatti che la « divisione manichea» tra scuola e lavoro, che giustamente la relazione di Torino lamenta, lungi dall'attenuarsi, si accentui ancor più, qualora si riesca a far apparire la formazione professionale come alternativa ad un iter regolare di studi, oppure si presenti l'addestramento al lavoro come attuabile durante la scolarità. Poiché è chiaro che imboccherebbero tale scorciatoia per tentare, anche a costo di autoemarginarsi, un precoce accesso ad attività retribuite, proprio le categorie economicamente e socialmente più deboli, quelle cioè che il prolungamento dell'obbligo scolastico dovrebbe privilegiare e proteggere, attraverso un onere /imposto alla comunità. Non a caso, del resto, le attuali resistenze al generalizzato e diffuso aumento della domanda d'istruzione che si riscontra specie nel settore tecnicoprofessionale, si vanno coagulando ai due estremi della scala sociale, come fu già al tempo dell'istituzione della Media Unica obbligatoria. L'accusa di puntare sempre più « verso un rinvio dell'inserimento professionale » mossa alla scuola in varie occasioni e in vari momenti, ha certo la sua motivazione· in talune astrattezze e genericità della politica scolastica, di cui più sopra si diceva, ma può facilmente prestarsi a giustificare una razionalizzazione delle pressioni che già, dal mondo imprenditoriale da una parte, e dalla sottoborghesia. dall'altra, si esercitano onde ottenere o conservare modelli scolastici che conducano, o sembrino condurre, più direttamente e rapida79
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