Nord e Sud - anno XIX - n. 151-152 - lug.-ago. 1972

Cronache meridionaliste dalla disponibilità « di superfici adatte per la realizzazione di impianti di rilevanti dimensioni», di attracchi per navi petroliere di grande stazza, d'acqua. Ma una sùnile struttura tecnica dell'industria - alla quale il documento si riferisce, osservando che: ... nasce ... l'opportunità di aprire l'industria chimica di base a tutti « gli apporti finanziari, imprenditoriali e tecnici interni ed esterni (cioè stranieri - n.d.r.) che possano permettere il suo irrobustimento » - richiede che le attività di produzione di trasporto e di utilizzo dell'etilene siano fortemente integrate fra loro, il che è possibile soltanto attraverso accordi tra le principali imprese. I quali ultinzi fanno sorgere la convinzione che ciò che viene auspicato è la forn1azione di un cartello tra i produttori, dovuto sì all'esigenza tecnica di una utilizzazione congiunta di certi i,npianti, ma che comporta come conseguenza la ripartizione del mercato tra i grandi gruppi « concorrenti ». Evidentemente i redattori del docun1ento hanno dovuto prendere in considerazione obiezioni sulle forn1e di niercato che propongono se soggiungono che « con la proposta di accordi non si intende eliminare la spinta della concorrenza, n1a indirizzarla nelle produzioni a valle ». Sennonché questa ipotesi potrebbe essere valida solo quando fossero rispettate condizioni di parità nell'acquisto dei prodotti intern1edi e per i servizi di trasporto, il che è ben lungi dal verificarsi in Italia proprio per la integrazione verticale che caratterizza l'industria chimica e che non saranno certo gli auspici del CIPE a cambiare. Del resto le reazioni dei gruppi più interessati, e cioè la Montedison, l'Anic-Eni e la SIRRurnianca, dimostrano come le proposte del « piano chimico» siano considerate irrealistiche perfino dai grvppi che ne dovrebbero trarre 1naggior vantaggio. Ri1nane il fatto che un gruppo culturalmente legato agli ambienti più progressisti del riformismo italiano è giunto al punto di proporre la costituzione di un cartello tra industrie pubbliche e private accomunate in un astratto disegno di « razionalizzazione » da sovvenzionarsi largamente con denaro pubblico. Il che fa scrivere ad Angelo Conigliaro, nel citato articolo, peraltro elogiativo del gruppo che fa capo alla Segreteria della Programmazione, che addirittura « qualche os1 servatore di buona memoria potrebbe chiedersi se gli organi della Programmazione, costringendo quattro gruppi concorrenti a mettersi d'accordo tra loro, non stiano ora ricalcando la strada percorsa ai tempi dell'autarchia quando bastò una legge per costringere gli industriali a riunirsi in consorzi obbligatori ». Ricorrere a paragoni storici con la politica fascista non è certo generoso né giusto per un gruppo il quale pur rappresenta con indubbia 57

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