Cronache ;neridionaliste che Salvemini 5 aveva esattamente identificato già al principio di questo secolo, contrasto che vede sempre il Sud soccombente. Ora, il fatto che il passaggio a una politica di programma è operazione non attuabile in tempi brevi, non consente di procedere oggi a una obbiettiva razionale identificazione delle politiche meglio atte ad eliminare econonzica1nente e sollecitamente il divario Nord-Sud; al di là delle s Nel pensiero di Salvemini - e credo solo in esso - si trovano tutti i principi ispiratori delle tesi che i meridionalisti propongono oggi al Paese. Per convincersene è forse sufficiente riflettere su due soli testi ora disponibili in Scritti sulla questione meridionale (1896-1955) (Einaudi, 1958). Il primo è del 1902 e reca il titolo Nord e Sud nel Partito Socialista Italiano; qui (pag. 152) il Salvemini sottolinea in sostanza l'esistenza in Italia di una società dualistica quando afferma che il Sud ha interesse alle riforme generali aventi obbiettivi politici (e non è azzardato identificare in tutto ciò quanto è racchiuso nell'idea odierna di programmazione) e conclude, in polemica con il Turati, osservando che « il movimento proletario per l'aumento dei salari e per la diminuzione del lavoro rappresentava le necessità sociali del Paese in cui egli - il Turati - vive, le quali con le necessità del Mezzogiorno non hanno nulla in comune». Il pensiero che oggi, ai fini delle nostre analisi, esprimiamo in termini di subsistemi e di rischio che il subsistema più forte sopraffaccia il più debole mi sembra tutto contenuto in quelle poche righe: il testo continua poi (pag. 153) facendo l'ipotesi che il governo dia « mano a tutto un insieme di vere riforme politiche, interdicendo al proletariato settentrionale la lotta economica». La qualità del pensiero salveminiano impedisce di attribuire a questa esasperata affermazione un contenuto che non sia l'intuizione, in anticipo di mezzo secolo, che la politica di un Paese che ha milioni di disoccupati .deve porsi anche il problema di determinare una ripartizione tra investimenti e consumi del reddito che si produce che sia conforme all'obbiettivo di creare i posti d1 lavoro mancanti. Non ci si può infatti attendere che le forze sindacali non perseguano il loro interesse e si diano carico delJe necessità di accumulazione di capitale per dar lavoro ai disoccupati; e l'azione pubblica non deve quindi limitarsi a mediare le controversie, ma deve avere a far prevalere una posizione propria, ispirata agli interessi, altrimenti non rappresentati, di coloro che non hanno lavoro. Sempre nel testo citato Salvemini continua osservando che « il dissidio è acuito dalla circostanza che alcune delle riforme politiche più necessarie nel Sud, sono del tutto indifferenti e fors'anche nocive, almeno in via immediata, ai partiti democratici del Nord». In un discorso tenuto alla Camera il 2 agosto 1920 (v. pagg. 548-49) viene poi approfondita la nozione di dualismo; ma non sembra necessario dilungarsi qui in altre citazioni. Mi è caro a questo punto ricordare che nelle numerose conversazioni avute con Salvemini negli ultimi anni della sua vita, nella ospitale casa Benzoni alla Rufola, più volte si ebbe modo di con tatare la continuità del meridi~alismo di oggi con questa parte del pensiero salveminiano. Le difficoltà sorgevano piuttosto a proposito della posizione libero-scambista così risolutamente assunta dal Salvemini; lo sviluppo del Mezzogiorno richiede infatti che attraverso incentivi e altre misure si dia in sostanza una protezione all'industria meridionale nascente nei confronti dell'industria già operante all'esterno del Mezzogiorno. Si trattava quindi di aggiungere protezioni a quelle esistenti e non di toglierne. Vi è stata però una componente che si può qualificare liberista nella linea precopizzata dopo la guerra dai meridionalisti; ed è. il favore con cui fin dal principio essi hanno visto i processi di integrazione europea per considerazioni non diverse, mi sembra, da quelle che animavano il radicale libero-scambismo del Salvemini. 43
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