Un'industria e un quartiere alla periferia di Napoli sabbia: le case degli operai sono perquisite una per una, si operano dei fermi, hanno corso processi a carico di quelli che si sono maggiormente esposti, e che hanno assunto l'iniziativa delle azioni da condurre. L'l 1 marzo, in seguito alle trattative svolte dai responsabili sindacali, e alle pressioni del Governo, l'Ilva decide di riammettere millecinquecento operai, riservandosi il diritto di procedere al loro licenziamento dopo due mesi « qualora le condizioni dello stabilimento non consentano di proseguire l'attività sia pure ridotta ». In questa clausola è contenuto il futuro minaccioso che attende l'acciaieria, un destino che invano le agitazioni, i sacrifici delle maestranze, l'impegno dei sindacalisti e dei datori di lavoro hanno cercato di scongiurare. Ogni provvedimento, sia pure adottato dopo lunghe discussioni e lotte ininterrotte, non costituisce mai una soluzione definitiva; non è altro che un atto interlocutorio, con il quale si tende a rinviare di qualche giorno, di qualche ora, una realtà i cui presupposti si sono da tempo delineati in maniera inequivocabile. Lo stabilimento non ha più una struttura efficiente, i rifornimenti sono insufficienti e irregolari, molti reparti sono stati chiusi da tempo (altiforni, forni a coke, acciaie, ria, laminatoio), il solo forno Martin è in attività. Nel gennaio 1921 l'intero complesso è posto sotto sequestro dai creditori che reclamano il pagamento di sedici milioni di lire: gli operai superstiti, i millecinquecento riassunti dieci mesi prima, vengono definitivamente licenziati. I passi indietro. - Nel qujnquennio successivo, l'economia napoletana, che era andata acquisendo negli « anni dieci » una sua promettente dimensione industriale, riassume in pieno i caratteri di economia sottosviluppata. Agricoltura e turismo tornano ad essere le risorse di base, risorse quanto mai inadeguate, di una popolazione che, intanto, ha toccato le 847 mila unità. Tante persone, infatti, come accerta il censimento del '21, vivono a Napoli e nei nove con1uni contermini che qualche anno più tardi verranno aggregati alla metropoli. I pubblici impieghi e il commercio (frammentato in una miriade di piccoli negozi) costituiscono l'angusto spazio economico in cui si muove il ceto borghese, non ancora in grado, per ragioni sociologiche e per le strutture ambientali, di esprimere un classe di imprenditori industriali. Il solo settore in cui si manifestano iniziative economiche d'una certa dimensione è quello edilizio. Di case, d'altronde, ce· ne sono troppo poche rispetto alle esigenze della città, ch'è tra le più affollate d'Italia; e quelle che si costruiscono, peraltro, non sono alla portata della maggioranza dei cittadini, i cui livelli di reddito risultano assai bassi. Nel decennio tra il 1921 e il '31, l'edilizia sarà, comunque, il settore più dinamico della stagnante economia napoletana. Una delle zone di 245
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