Nord e Sud - anno XIX - n. 151-152 - lug.-ago. 1972

Italo Talia. prodotto e di orientare efficacemente, in uno con l'industria dell'abbigliamento e della grande distribuzione, le scelte dei consumatori. In una industria, inoltre, impegnata in una attività di trasformazione multifibre, ad alta intensità di capitale e di fatturato per addetto, con corrispondenti stanziamenti per la ricerca scientifica e tecnologica. In buona sostanza, dunque, - così come afferma Ambrogio Mariani nell'articolo precedenten1ente ricordato - « non si tratta soltanto di portare a compimento grosse operazioni finanziarie e programmi sociali di concrete alternative di lavoro per i dipendenti delle aziende tessili superate. Occorre anche risolvere preliminarmente alcuni nodi, i principali dei quali si riferiscono alla moda ed alla vendita al pubblico, problemi che in ultima analisi si riconducono all'insufficienza di coordinamento o meglio alla mancanza di una politica tessile». Il Mezzogiorno, se è vero che la produzione dele fibre chimiche per le nuove lavorazioni tessili si concentra, nel 1971, quanto ad occupati e a capacità produttiva, per quasi il 20% nelle regioni meridionali, al contrario dell'occupazione e della capacità produttiva dell'industria tessile tradizionale, la cui presenza non ha superato mai, nel Mezzogiorno, il 5% del totale nazionale. Di qui la necessità di un piano tessile e soprattutto di una politica tessile che ,tenga globalmente conto di un settore produttivo che non si esaurisce più nella lana, cotone e seta, 1na investe il settore chimico e le nuove, possibili, zone di espansione di tali ultime produzioni. Ed infatti si prevede che nel giro dei prossimi due anni, il Mezzogiorno, nelle produzioni chimiche, dovrebbe migliorare, e di molto, le sue posizioni. Le percentuali priina citate dovrebbero raggiungere il 40% del totale nazionale. Di qui le nostre preoccupazioni sui modi e sulle zone di intervento della GEPI: il timore, in altri termini, che sia o che possa essere il Mezzogiorno a pagare il salvataggio dell'industria tessile tradizionale con la localizzazione di nuove produzioni tessili sostitutive in zone dove esistono o possono esistere occupazioni alternative. E se non ci meraviglia l'antimeridionalismo di Donat Cattin (o se si preferisce il fatto che la legge tessile non tiene in debito conto le regioni del Sud), ciò che francamente stupisce è l'incapacità dei sindacati meridionali a cogliere l'altro aspetto di un intervento così parziale, unilaterale e settoriale, che oggettivamente colpisce al cuore la pretesa « priorità meridionalistica » da dare alla politica economica nazionale. Di qui, infine, le responsabilità del CIPE, oltre che dei sindacati meridionali, di fronte ad una legge che può condannare il Mezzogiorno ad un altro secolo di attesa. ITALO TALIA 148

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