Italo Talia Non fattori geografici, quindi, ma ragioni di altra natura, segnarono la fine, ieri, dell'industria tessile localizzata a sud della linea dell'Arno. Ciò che è valso, ieri, per l'industria tessile del Mezzogiorno può valere, oggi, per l'industria tessile italiana in generale. In un contesto industriale sempre più articolato e sofisticato, anche la tessile richiede un'organizzazione sempre più agguerrita sia dal punto di vista produttivo che da quello commerciale. La lunga marcia di trasformazione compiuta dall'industria tessile occidentale ed americana, dimostra che l'industria tessile può sopravvivere, ed anzi si può irrobustire, anche nei sistemi econo1nici molto avanzati. Questo comporta, però, come scrive Ambrogio Mariani sulla rivista « Successo », nel numero di giugno dello scorso anno, « ricerche costose, impianti ad alta immobilizzazione finanziaria, creatori e tecnici di matura formazione, una bene attrezzata organizzazione distributiva, e soprattutto un'imprenditorialità e una dirigenza alta e media capaci di rispondere alle sollecitazioni del mercato ». E allora bisogna anche scegliere, nel nuovo piano tessile, se si tratta soltanto di salvare i nipoti dei cotonieri e lanieri che hanno dato pessima prova di sé, oppure se si tratta d'inserire anche il Mezzogiorno nel rilancio di un'in• dustria che su basi nuove ha ancora uno spazio. Da questo punto di vista è proprio vero che la scelta tra industria tessile convenzionale ed industria tessile avanzata traccia uno spartiacque tra due mondi diversi, tra due modi diversi di intendere la ristrutturazione e quindi due destini opposti. Il primo, il salvataggio tout court, sembra avere il respiro corto; il secondo, che passa su basi diverse e per il Mezzogiorno, può segnare, invece, la via della ripresa e dell'espansione. Il punto di attacco può essere costituito dal cosiddetto « Rapporto De Brandt » presentato alla Commissione delle Co1nunità Europee nel 1969, che fissa due direttrici di marcia: la « eliminazione » e la « organizzazione ». Per quanto riguarda la prima direttrice, e cioè l'eliminazione fisica delle attrezzature obsolete, « non è possibile prevedere globahnente l'ampiezza delle eliminazioni necessarie, perché queste implicano per ciascuna branca una definizione dei criteri che per·metta di valutarne le capacità, un inventario di tali capacità ed una misura del grado di utilizzazione ». Per quanto riguarda, al contrario, la organizzazione, il « Rapporto De Brandt » « ritiene indispensabile realizzare una concentrazione delle strutture produttive sul doppio piano verticale ed orizzontale ». Una simile politica dovrebbe consentire di « assestare le imprese sul piano finanziario e di ridurre i rischi diversificando i campi di attività ». Infine, lo studio pone l'accento su tre punti che sono, per così dire, alla base della ristrutturazione: sulle strutture professionali, sul146
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==