Nord e Sud - anno XIX - n. 151-152 - lug.-ago. 1972

Italo Talia ricco, e l'inserimento di quel genere faceva balenare agli occhi di un proletariato in formazione un'alternativa alla miseria dei campi o ai tormenti dell'emigrazione ». Ed agli inizi degli anni 'SO, agli inizi, cioè, del boo1n economico italiano, tale funzione si era già esaurita. Aggiunge, infatti, Caizzi che oggi « i limiti sociali ed economici dell'industria tessile, intesa nelle sue forme tradizionali, possono venire sottolineati con maggiore franchezza, se pur sempre con ovvie apprensioni di ordine sociale: il suo carattere di attività circoscritta, avara nel gettare semi di iniziative collaterali, il suo scarso ricorso a mano d'opera veramente qualificata e ben retribuita, i pochi contatti ch'essa intrattiene col mondo della scienza e della tecnica da cui escono le idee e le invenzioni che suggestionano il comportamento economico dei popoli». E poiché « l'abbandono di tutto ciò che nelle lavorazioni tessili sa di artigianale è un portato inesorabile dell'evoluzione, anche il ridimensionamento dell'industria italiana deve essere accettato come una testimonianza delle sue capacità di adattamento e della sua volontà di sopravvivenza. Questo processo che minaccia di morte molti piccoli e medi opifici, e impone gravose scelte a quelli più consistenti, che genera dappertutto crisi di assestamento e lascia strascichi di disagi umani, aprendo solchi profondi nei quadri dell'occupazione operaia, è lungi in Italia dalla sua conclusione, anche se, per intanto, unico fra le grandi classi del lavoro industriale, fra il 1950 ed il J 960 il ramo tessile abbia già diminuita la propria consistenza u1nana di almeno centomila individui » 7 • Infatti, tra il 1951 ed il 1961 l'industria tessile italiana passa da 750 mila occupati a 650 mila, con un decremento percentuale pari al 6,2%; nei cinque anni successivi altri 75 mila occùpati vengono espulsi dal processo produttivo, e tra il 1965 ed il 1970 l'occupazione diminuisce ancora di oltre 25 mila unità. Complessivamente, dunque, in venti anni l'industria tessile italiana perde il 25% della sua complessiva occupazione. Nel contempo, aumenta l'intensità di capitale e vengono emarginate ed espulse dal mercato le piccole imprese: aumenta quindi il rapporto di concentrazione territoriale (soprattutto Piemonte e Lombardia), anche se medie aziende nei nuovi comparti produttivi della tessilchimica e del vestiario si vengono localizzando nel Mezzogiorno, dove l'occupazione complessiva tessile resta stazionaria tra il 1951 ed il 1961 e, cresce, sia pure di poco, tra il 1961 ed il 1965 (circa 4 mila unità in più); un eguale incremento si registra tra il 1965 ed il 1970, con la sola eccezione della Campania, dove, al contrario, gli investimenti in produzioni nuove non riescono a creare un numero di posti di lavoro pari a quelli che vengono meno nelle tradizionali produzioni cotoniere, della canapa e del lino. 7 BRUNO CAIZZI, Storia dell'industria italiana, UTET 1965. 144

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