Nord e Sud - anno XIX - n. 150 - giugno 1972

Maria Laura Gasparini plesso. Esso è una accettazione, spontanea, della nuova situazione, del nuovo modo di vivere, dei nuovi rapporti umani e della diversa collocazione della propria persona. Comunque, i punti fondamentali nei quali la vita passata, svolta in un ambiente rurale, caratterizzato da « situazioni statiche», differisce dalla vita cit,tadina, « in continua evoluzione», sono i seguenti. Nel paese di origine, la singola persona ha una sua collocazione ben delineata; ha rapporti personali con tutti gli altri, ha una autonomia di condotta assai maggiore, per cui il singolo addirittura può essere tentato di ritenersi superiore alla stessa Giustizia, faoendosela, se è il caso, da se stesso. Invece, nella città, nello stabilimento, nella nuova vita sociale, tutto questo cambia radicalmente. Il « terrone» comincia anche ad accorgersi che, in molti casi, la realtà è ben diversa da quella che egli aveva pensato. La sua forza fisica, di cui era tanto fiero, ora non serve più. Ora non può più farsi giustizia da sé anohe quando ha ragione, ma deve attendere che la giustizia la facciano (quando la fanno) gli altri, cioè il tribunale, la direzione della fabbrica, il sindacato e tanta altra gente che egli nemmeno conosce. Ora egli deve affidarsi non alla forza fisica, ma alla forza morale, alla forza di volontà; a quella stessa cui ha dovuto fare appello quando ha preso la gravissima decisione di partire. Giorno per giorno egli fa un passo avanti, ma purtroppo deve accorgersi che, per ogni difficoltà superata, altre ne sorgono, per cui l'andamento completo diventa sempre meno facile, anche perché la società che lo riceve non lo capisce. E, in queste condizioni, qualcuno cede, si ribella, rompe con la società. Molti, però, aiutati dal grande soccorso che viene loro dal lavoro onestamente compiuto, pur soffrendo, resistono e conquistano il proprio inserimento nella nuova società giorno per giorno, in uno sforzo continuo che non avrà sosta che alla fine della loro esistenza. E questo avviene nella maggior parte dei casi: magari sempre quando si tratta di agenti e di carabinieri. Chi al Nord veramente lavora è il meridionale, chi soffre è il meridionale, chi si sacrifica, chi accetta qualsiasi lavoro anche se duro, mal pagato e pericoloso per vivere, chi muore adempiendo al proprio dovere, è proprio lui, è il « terrone ». È avvenuto a Marcinelle, è avvenuto a Gorizia, avverrà purtroppo ancora a Torino, a Milano, a Brescia, a Genova. Ma pochi se ne accorgeranno, la vita continuerà come se nulla fosse, il numero dei morti «meridionali» salirà ancora, e, forse per sempre, continueremo ancora a sentir dire: « Ma che cosa ci vengono a fare, al Nord, questi terroni?». Eppure la risposita è molto ele-- mentare, semplice, logica: a lavorare. È più facile, anche se doloroso, al Nord di quanto non lo sia al Sud. *** · Pochi giorni or sono, e precisamente il 15 giugno, nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Roma, sono stati presentati dal presidente dell'Istituto Centrale di Statistica (I.S.T.A.T.), prof. De Meo, i risultati del censimento generale della popolazione italiana, effettuato i.l 24 ottobre dello scorso anno. 88

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==