Antonino Laganà come delle cose è trattarli quali data che costituiscono il punto di partenza della scienza. I fenomeni sociali presentano incontestabilmente questo ca-· rattere ». Nell'indipendenza dalle coscienze individuali, nella esteriorità ad esse, va ravvisato uno dei segni che contraddistinguono la cosa o fatto sociale; il suo secondo carattere fondamentale è da ricercarsi, invece, nella imperatività o coerczzzone. I fatti sociali - obbiettivamente considerati - non sono altro che le « credenze» della collettività o, se si vuole, le sue « istituzioni». Infatti, è possibile, « senza snaturare il significato di questo termine, chiamare 'istituzioni ' tutte le credenze e tutte le forme di comportamento istituite dalla collettività; la sociologia può allora esser definita 'la scienza delle istituzioni, della loro genesi e del ]oro funzionamento'». L'indipendenza ed esteriorità delle « istituzioni» la si constata praticamente, in quanto la loro realtà oggettiva costringe il singolo individuo a considerarle non come una produzione della propria coscienza, del proprio pensiero, ma come delle entità n1ateriali, per così dire, con le quali ha da fare i conti nel suo operare. D'altronde, l'indagine concreta permette al sociologo di stabilire se il fatto sociale è tale fatto reale o non piuttosto una semplice « prenozione » - un idolo, per usare la terminologia di Bacone - che si camuffa di falsa esteriorità. Infatti, « se questa esteriorità non è che apparente, l'illusione si dissiperà a misura che la scienza avanzerà e si vedrà per così dire, il di fuori rientrare nel di dentro». L'imperatività caratterizza forse più a fondo il fatto sociale: esso, infatti, « si riconosce dal potere di coercizione esterna che esercita od è suscettibile di esercitare sugli individui. E la presenza di questo potere si riconosce a sua volta sia dall'esistenza di qualche sanzione determinata, sia dalla resistenza che il fatto oppone a qualsiasi iniziativa individuale che tenda a fargli violenza». Anche nel caso in cui la sanzione non sia giuridicamente tangibile, essa pur sussiste nella forma di disapprovazione morale o anche disprezzo della collettività di cui il singolo fa parte. La volontà, d'altro canto, è impotente a capovolgere una « credenza sociale», il che ne denota ulteriormente la natura obbiettiva, ultraindividuale. Il fatto sociale, tuttavia, oltre ai caratteri così acutamente riconosciutigli da Durkheim - cioè l'anonimità o indipendenza dai soggetti e l'imperatività - ne possiede un terzo - individuato dalla posteriore sociologia -, ossia la inintelligibilità. La forza coercitiva delle credenze sociali, ancorché riesca a piegare la volontà degli individui, non per questo si presenta come razionale, intelligibile, anzi, a ben riflettere, se delle ragioni ci sono - più o meno valide - esse stanno dalla parte di chi la contrasta. Durkheim non sembra aver considerato quest'ultimo aspetto del problema; forse si può dire che egli esprin1a un'opinione opposta, là dove afferma che « la riflessione, facendo comprendere all'uomo quanto l'essere sociale è più ricco, più complesso e più durevole dell'essere individuale, non può che rivelargli le ragioni tntelligibili della subordinazione che si esige da lui e dei 80
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