Nord e Sud - anno XIX - n. 150 - giugno 1972

Manlio di Lalla sia di quelle forze di sviluppo della società che si vogliono rappresentare che delle altre che si vogliono contestare, c'è nel contesto della destra un'ipotesi di lettura moderna e spregiudicata? Evidentemente non basta dichiararsi agili per essere mentalmente tali, ma occorre dimostrarlo sul terreno concreto delle analisi. In secondo luogo, c'è il tentativo di rendere omogeneo, se non altro a livello di diagnosi, il discorso storico sulle varie vicende della destra in Italia? Senza di questi due presupposti non si può evidentemente parlare di un'ipotesi alternativa di destra che abbia superato non solo l'illuminismo prefascista n1a anche quello postfascista. Per quanto riguarda il primo punto, e cioè quello di un'attenta lettura delle forze motrici della società italiana, niente o quasi è possibile cogliere nel discorso neofascista. È vero, il tradizionale folclore è stato eliminato od ovattato. Ma il richiamo irenico alla borghesia cosiddetta benpensante è fatto indifferenziatamente, come generico salto di qualità. Così come l'insistere su certi momenti tradizionali del discorso fascista, come quello corporativo, senza articolare in concreto una nuova ipotesi sulle competenze, conciliandola parzialmente con il modello illuminista che si vuole contestare, ma che non si può abbattere del tutto, l'insistere, ripetiamo, su certi momenti tradizionali, senza svilupparli, equivale ad avere una visione dogmatica e non dialettica della lotta politica. Siamo quindi ancora nella spirale del vecchio discorso fascista sviluppato con rigidità manichea, per contrapposizioni frontali. Quanto al secondo punto, quello del tentativo di un discorso sulla destra in Italia che sia storicamente omogeneo, anche su tale terreno niente è possibile rintracciare, se non altro a livello di schizzo, nel contesto della destra neofascista. Nessun discorso articolato sulle possibilità di sviluppo dialettico dello Stato etico, che pure è stato storicamente l'alternativa a quello garantista. Nessun tentativo di analisi è possibile rinvenire della cultura populisticanazionalista, dei rapporti fra tale cultura e i ceti intellettuali subalterni. Eppure, una tale ricognizione sarebbe l'a.b.c. di un aggiornamento culturale. Viceversa, una dimensione psicologica alla Action française, senza gli sfumati sottintesi protestanti che ne accompagnarono la vicenda, condita con il gusto di stupire, tipica forma di certo nostro provincialismo, accenti inquieti, pronunciati da chi vuole andare controcorrente ad ogni costo, tutti questi elementi neanche fusi insieme, ma disgregati, costituiscono il panorama culturale della destra italiana. Un po' poco, diremo, per un'alternativa dalle ambizioni storiche. 74

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