Paolo Sylos Labini dal momento che vivono in gran parte nel Nord quei lavoratori dell'industria moderna che « guidano » le rivendicazioni sindacali e salariali. Non solo, ma la congestione di diverse zone: industriali del Nord, accompagnata « dall'inadeguato sviluppo delle infrastrutture civili » ( case, ospedali, trasporti, scuole), ha contribuito a creare quelle spinte rabbiose ed eversive, che a volte sono state incanalate dai « gruppuscoli » e che fanno capo quasi sempre ad operai che sono da poco immigrati dal Sud. Questi operai, che hanno reciso i legami con le zone di origine attratti dal miraggio di un relativo benessere, hanno scoperto: che il loro salario viene decurtato da fitti esosi; che, dato il loro basso grado d'istruzione, sono assegnati ai lavori più umili e «alienanti»; che l'ambiente sociale è quasi razzialmente ostile nei loro confronti. Altre tensioni ed altre frustrazioni hanno alimentato, nel Mezzogiorno, il « voto di protesta» di alcuni strati di ceti medi ed hanno contribuito a gonfiare la rappresentanza dei fascisti in Parlamento. Sotto tutti gli aspetti, dunque, quello meridionale è un problema nazionale. Che fare? Di analisi, indagini e studi, oramai ne abbiamo a iosa. Con la nuova legge della Cassa - ricordata da Carli solo per esprimere note di cautela e riserve - si hanno anche strumenti idonei. Il programma 1971-75 non si lirnita a prevedere la concessione di agevolazioni, ma prospetta una serie di progetti ben precisi. Altri strumenti, oltre la Cassa, già esistono: le imprese pubbliche. Si tratta di passare immediatamente all'azione, se non. vogliamo che la « fase di attesa » di cui parla Carli si traduca in una evoluzione stabilmente fiacca o in una tendenza al ristagno. E qui sorge la seconda riserva alla diagnosi e alle prescrizioni di politica economica di Carli: l'ostilità verso l'espansione delle imprese pubbliche, soprattutto di quelle a partecipazione statale, le quali avrebbero dovuto (e dovrebbero) lin1.itarsi a sviluppare i servizi di carattere infrastrutturale, specialmente dei trasporti e delle comunicazioni, e quelli di razionalizzazione delle strutture complementari all'attività di produzione agricola. Se invece le imprese a partecipazione statale si allargassero nelle industrie di trasformazione (manifatturiere), esse « si metterebbero in concorrenza con gli imprenditori privati, scompigliandone le basi del calcolo economico ». Carli aveva già espresso questa tesi nella relazione del 1965; ora la ripete, tale e quale. Eppure egli riconosce che gli investimenti delle imprese pubbliche hanno fatto e tuttavia fanno da paracadute della flessione economica in atto. Forse che, se non. fossero aumentati questi investimenti, sarebbero corrispondentemente aumentati quelli delle imprese private? Nessuno può crederlo. Forse che la concorrenza - sia pure la concorrenza « fra pochi », la concorrenza 38
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