Tullio d'Aponte della SIR si è avanzata la proposta di costruire un centro chimico integrato per le lavorazioni fini; centro che con un investimento di 76 miliardi assorbirebbe oltre quattromila addetti. L'idea della società di Rovelli si giustifica con la constatazione che le apparecchiature della chimica secondaria sono progettate per tipi di reazioni, e non per singoli prodotti, in modo che, con un impegno finanziario limitato, sarebbero realizzabili produzioni molto diversificate. Il problema più arduo dell'industria chimica è, tuttavia, quello delle localizzazioni. Come si è visto, l'idea-base del primo piano chimico era quella di potenziare la produzione di etilene nel Mezzogiorno, collegando, contemporaneamente, gli impianti di una stessa area a mezzo di etilenodotti, possibilmente consortili: « attrezzate » così intere regioni produttive, con una rete di distribuzione della materia pri1na utilizzata dalla chi1nica fine, sarebbero assicurate la continuità e l'economicità degli approvvigionamenti. In tal modo tutti i fattori « classici » della localizzazione industriale serebbero stati presenti; al resto avrebbero pensato il CIPE e la politica d'incentivazione predisposta con la nuova legge per il Mezzogiorno. Infatti, proprio la legge per il Mezzogiorno, con l'art. 14, stabilisce che le realizzazioni di qualsiasi impianto industriale da parte delle grandi imprese, sia pubbliche che private, e tutti i progetti - compresi i casi d'ampliamento - relativi ad investimenti eccedenti i 7 miliardi, da qualsiasi tipo e dimensione d'impresa siano promossi, devono sottostare all'approvazione del CIPE. E non basta rinunciare ad incentivi e sostenere l'onere dei disincentivi, che nel nostro caso sono pari al 25 % del valore degli investimenti, per scavalcare l'ostacolo del parere di conformità del CIPE, in quanto il comma 7° dello stesso art. 14 rende impossibile ogni scappatoia quando afferma che le amministrazioni dello Stato e gli altri enti autarchici territoriali « non possono rilasciare le autorizzazioni e le licenze di loro competenza in presenza della deliberazione negativa del CIPE ». Col che si comprende come il problema, più che tecnico, sia politico. Ma anche così le cose non sono tanto semplici come sembrerebbe. Da un lato esiste una ben nota resistenza passiva, di tipo « psicologico », che coinvolge, più che gli industriali, gli stessi tecnici e i « quadri » dell'industria, ai quali l'immagine del deserto meridionale appare molto più squallida di quanto in realtà non sia. In più, effettivamente, esiste un certo consistente rapporto tra molte produzioni chimiche manifatturiere e i grandi mercati di consumo, che, ovviamente, hanno i loro punti di forza in quel sistema metro32
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==