La rivoluzione improbabifo essendo di facile lettura (soprattutto per i non iniziati agli studi filosofici), compensa ampiamente, per i risultati che raggiunge, la fatica compiuta per portarla a termine. Il titolo stesso del libro, comunque, ove si riesca a decifrarlo, consente di darsi ragione del risultato al quale conduce l'analisi di Mathieu. Non sappiamo se nel formularlo egli lo abbia chiaramente pensato: ma ci sembra che qui il termine « speranza » non debba essere inteso soltanto nella comune accezione del termine, bensì nel senso con cui lo usava Hegel in un celebre passo della Feno1nenologia dello Spirito: « La speranza di potersi unificare con l'intrasmutabile deve restare speranza, deve cioè restare senza compimento e senza presenzialità ». La proposizione hegeliana dchiede un chiarimento: nella sezione della Feno111enologia dedicata alla « coscienza infelice », da cui essa è tratta, « l'intrasmutabile » rappresenta uno dei due poli dello sdoppiamento della coscienza e precisamente quello dell'universalità; l'altro polo, quello della singolarità, dell'individualità, è 1nosso, a un certo momento del suo iter, dalla speranza, appunto, di ricongiungersi a quello e di raggiungere quindi la pienezza di sé: solo che tale « speranza », come abbiamo vis o nel passo citato, è condannata a restare tale; essa costituisce la molla di una serie di movimenti ognuno dei quali sembra essere quello risolutivo, ma che, alla prova storica, si risolverà in uno scacco. Così la coscienza erra alla ventura con l'occhio fisso a un « intrasmutabile » che sembra non sarà mai concesso raggiungere. La spiegazione è necessariamente som1naria, ma sufficiente, riteniamo, a dare il senso del discorso di Vittorio Mathieu, dove l'« intrasn1utabile » rappresenta la rivoluzione e il suo opposto il rivoluzionario che la persegue invano. Ma questo lo vedremo meglio più avanti seguendo tutto il discorso dell'autore. In esso infatti si dice che per il rivoluzionario la rivoluzione è considerata co1ne una sorta di « imperativo categorico » il quale, essendo trascendentale e non empirico, non arriva mai al suo perfetto compimento; nonostante questo, esso si presenta come un assoluto al quale in ogni caso si deve obbedire. Vista in tal modo la rivoluzione diventa la tappa finale, la mèta ultima del cammino umano, il momento in cui potrà finalmente essere raggiunta « la coincidenza della volontà nel bene, al di fuori di ogni costrizione della legge ». Per questo motivo, secondo Mathieu, dato il « carattere infinito della rivoluzione» non è possibile parlare di « rivoluzioni », al plurale; non è possibile identificare « con la rivoluzione un qualsiasi rivolgimento storico, anche se, per -certi aspetti, riuscito »: poiché infatti 11
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