Lettere al Direttore facile prosptttiva di trovare in Facta un comodo capro espiatorio (e spiace che uno storico serio come De Felice vi abbia prestato acquiescenza), nessuno si è reso conto che il presidente faceva bensì il « suo» giuoco, ma che questo consisteva nel tenere a galla il ministero finché fosse pronta la soluzione Giolitti, puntando anche a inserire in codesta soluzione la celebrazione del 4 Novembre con la presenza di D'Annunzio. E di tutto ciò sussiste prova abbondante e inconfutabile nei documenti da me già pubblicati, e in quelli tuttora inediti, che appariranno nella nuova edizione. A questo punto potrei concludere, 1na non posso trattenermi dal citare una aff ernwzione di Bertoldi, che contiene un brillante saggio di fantastoria. Egli dice: « Direi che Facta cadde in pieno soprattutto nella pania del re, il quale aveva bisogno di toglierlo di mezzo in modo legale, per lasciar intendere che onnai l'unica soluzione era di chiamare al potere Mussolini. Il re non si opponeva al fascismo, fingeva solo di contenerlo, perché era suo dovere costituzionale. Il re aveva per il fascismo una intima propensione. Esso gli era congeniale, perché voleva dire autoritarismo, un modo di risolvere i guai e le crisi senza bisogno di fisin-ze e di perditernpo » ( pagg. 295-296). Questa carrellata immaginifica dura fino a pag. 298, per concludersi in modo veramente strabiliante. Ecco: « Facta aveva creduto di essere più furbo. Facta aveva trattato anche lui segretamente con Mussolini, nella solita speranza di tutti: conservare il suo posto. Aveva parlato col re di quei contatti e abbiamo vi'Sto con1e il re lo facesse abilmente cadere nel suo giuoco astuto. Quando il poverino vi fu caduto, si ritrovò come Giolitti con un pugno di mosche e con il risultato opposto a quello che si era prefisso: cioe di avere spianato la strada a Mussolini, eliJninandosi per sempre. Il re aveva adesso, finalmente, le carte buone per completare il suo disegno ». Povero Vittorio Emanuele! Clzi lo spaccia per un imbecille; chi - come Bertoldi - per un genio. Finora nessuno, né gli apologeti, né i detrattori, avevano osato tanto. Non esiste una sola fonte che indichi in questo sovrano un pizzico di callidità, di attitudine all'intrigo, di così fine machiavellismo. E così anche l'ingenuo Mussolini, anche quel meschinetto di Michele Bianchi furono pedine inconsapevoli, vittime predestinate di questo Valentino in sedicesimo. Ma de hoc satis, perché francamente non si sa se vi sia da ridere o da piangere ... Mi rimane soltanto da osservare che da tutta questa faccenda emerge un quesito: perché tutto questo astio contro Facta, quando tutti i numi del liberalismo di allo~a - da Salandra a Orlando, da De Nicola a Nitti, da Giolitti a Benedetto Croce - non chiedevano altro se non di collaborare col fascismo? La realtà è che non si è mai voluto ammettere che il vecchio volpone, Giovanni Giolitti, si era fatto mettere nel sacco da quel giovane de111a._ gogo che era Benito Mussolini: e perciò si trovò tianto comodo scaricare su Facta la responsabilità di avere condotto un doppio giuoco, sorprendendo così la buona fede del suo maestro. Con tutto ciò, Giovanni Giolitti rimane un grande statista. Egli era ormai ottantenne, e fors' anche stanco e deluso. Le attenuanti non gli mancano, 127
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