Nord e Sud - anno XIX - n. 150 - giugno 1972

_4ntonino Répaci ebbi con l'on. Corradini. Egli cercava di giuocare con me. Io sapevo di giuocare con lui » ( « La Stampa» del 26 ottobre 1923). Ebbene, in questa rievocazione non figura neppure un accenno agli approcci rivolti a Luigi Fiacta! E se Bianchi avesse « giuocato » con Facta, non avrebbe certamente perduto l'occasione di vantarsene. Premessi questi succinti dati di fatto (e molti ,altri potrei aggiungere), sia ben chiaro che non ho mai inteso esaltare l'opera politica di Facta, ma soltanto ristabilire la verità, quale emerge da f.atti e da documenti inoppugnabili. Ecco perché non posso far altro se non confermare quanto scrissi allora, e cioè che Facta fece ciò che pensava avrebbe fatto Giolitti, in attesa che questi si decidesse a riprendere l'e redini del potere. E poiché Giolitti, nonostante i reiterati e angosciosi appelli del suo luogotenente, continuava a dilazionare nell'intendimento di combinare un governo con la partecipazione dei fascisti, Facta indulgeva agli eccessi di costoro per non pregiudicare le trattative in corso, e contemporanearnente teneva a galla il ministero che faceva acqua da tutte le parti, sempre per agevolare la successione di Giolitti. L'affermazione di Cognasso, secondo cui Facta, invece di presentare le dimissioni del governo, si era fatto mettere a disposizione i portafogli dai mistri allo scopo di preparare la terza reincarnazione di un ministero da lui presieduto, con la partecipazione dei fascisti, è talmente cervellotica, che non meriterebbe commenti. Senonché questo fatto offre lo spunto per meglio delineare l'azione politica del presidente in quel burrascoso momento. Egli era inforn1ato di ogni movimento delle squadre fasciste, e sapeva che da un momento all'altro il fatto insurrezionale poteva verificarsi. Se avesse presentato le din1issioni del governo in un frangente come quello, prestandosi al giuoco del ministro Riccio, quinta colonna fascista in seno al governo stesso, allora sì che avrebbe commesso un atto imperdonabile. Con la formula da lui adottata, invece, di fronte alla insurrezione, il ministero si sarebbe potuto ricostituire, come in effetti si ricostituì automaticamente, potendo così provvedere alla deliberazione dello stato d'assedio. Bertoldi, storiograficamente meno scaltro di Cognasso, cita un telegramma di Facta in data 26 ottobre, indirizzato a Vittorio Emanuele III, tratto dalla appendice documentale del 1nio saggio, ove apparve per la prima volta. In quel telegramma F,acta rende edotto il re delle manovre fasciste dirette alla costituzione di un suo terzo ministero. E Bertoldi così commenta: « Il giochetto di Facta risulta tanto scoperto da apparire pate,tico. Egli sia d:i avere una sola possibilità di rimanere presidente del Consiglio. Questa possibilità è di ottenere l'investitura non tanto dal re, quanto da Mussolini, imbarcandolo nel governo. E di presentare al re questa soluzione come una misura provvidenziale per rnantenere l'ordine e immettere i fascisti nella legalità monarchica » ( pag. 295). Che Bertoldi voglia ravvisare un « giochetto » nella doverosa comunicazione di una notizia importante da parte di un capo di governo al capo dello Stato, è affar suo; quanto a offrire di tale affermazione, non dico una prova, ma una sola apparenza di indizio, ben se ne guarda. Orbene, in questa 126

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