Girolamo Cotroneo rimento avvenne nel secolo diciottesimo con l'esplodere della prima, vera rivoluzione della nostra storia, quella francese (nel senso che questa fu la prima che si pose consapevolmente come tale, anche se un notevole grado di consapevolezza rivoluzionaria lo si può trovare già nelle lotte dei puritani inglesi del Seicento). Una storia alquanto breve, quindi, anche se il senso (o il desiderio, l'attesa) di un rivolgimento radicale è antico forse quanto il mondo degli uomini: basti pensare all'attesa ebraica del Messia o a tutta l'escatologia cristiano-medioevale; solo che mentre queste vedevano la realizzazione delle speranze e dei desideri dell'uomo in una prospettiva metafisico-trascendente, il pensiero rivoluzionario moderno ha trasferito in terra quella realizzazione, trasformando un sentimento originariamente religioso in attività e forza politica (anche se, come vedremo, sulla base di quanto è stato detto di recente al proposito, un'istanza mistico-irrazionale permane ancora al fondo della moderna filosofia della rivoluzione). Prima di affrontare questo problema torniamo a quello che, con le parole di Felice Orsini abbiamo posto all'inizio: cioè il conflitto tra la volontà di avviare un processo rivoluzionario e l' esistenza delle condizioni che ne consentano la realizzazione e la riuscita. I teorici della rivoluzione si sono sempre trovati stretti da questo dilemma: attendere che si creino le « condizioni », aspettando quietamente il momento in cui la rivoluzione esploderà praticamente da sola, oppure favorire con qualsiasi azione, la nascita delle condizioni stesse? Sarebbe del tutto superfluo riportare diffusamente gli argomenti con cui può essere sostenuta (o meglio: con cui i teorici della rivoluzione sostengono) l'una o l'altra delle due tesi, in quanto sono fin troppo noti: da una parte si parla di immobilismo, di determinismo, di fatalismo, dall'altra si ritiene che l'attività provocatori.a possa favorire la controrivoluzione preventiva, togliendo lo spazio ad ogni attività politica di opposizione. Si tratta, come si diceva, di argomenti notissimi, oggi ripetuti, con abbondanza di citazioni e di esemplificazioni, fino alla noia. Il problema che qui ci interessa è invece un altro: il discorso precedente, pur nella diversità dei punti di vista richiamati, si fondava tuttavia sulla convinzione incrollabile che soltanto attraverso la rivoluzione certi obiettivi politici potrebbero essere raggiunti. Data per scontata questa posizione, condivisa oggi da un settore abbastanza largo (anche se non larghissimo) della sinistra europea, vale la pena di chiedersi se l'assunto sia valido, se la « rivoluzione » sia veramente e assolutamente necessaria per il per8
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