Nord e Sud - anno XIX - n. 149 - maggio 1972

Girolamo Cotroneo culturali, dell'indagine sulle fonti, addirittura quello della situazione storico-sociale, studiando invece ogni autore « per sé ». Qui siamo addirittura oltre Foucault, il quale lègava entro un « reticolo di necessità » l'intera episteme di un'epoca, ove invece Giorgio Manganelli non vede (o non cerca) nessun legame di necessità fra gli autori che toglie in considerazione. Quali risultati concreti possa dare questo tipo di metodologia è ancora da vedersi. E qui Manganelli ci conferma nell'opinione che avevamo espresso all'inizio intorno alla nostra epoca, ricca di programmi e povera di ricerche concrete o di nuove creazioni. Certo, Manganelli potrà dire che, fino a quando non ci saremo liberati di quelle categorie (la continuità, il divenire, la storicità), pensare diversa1nente è pressoché impossibile. Egli però dovrebbe sapere che le categorie non nascono a caso, ma sono il frutto di un lunghissimo processo di lavoro culturale; pensare di spazzarle via per sostituirle con altre già belle e formate è un'operazione intellettualistica che, come tale, progran1ma molto e produce poco (e tutto ciò senza dire perché mai si debba vedere come assolutamente necessario sostituire la categoria della continuità con quella della discontinuità). Non ci vuole molto per con1prendere che tutto il discorso di Manganelli si sviluppa soprattutto in chiave antistoricistica e antidialettica. La stessa chiave con cui viene sviluppato un altro discorso « demistificatorio », oggi anch'esso di gran moda: quello contro la « gram1natica », rea di essere strumento di classe e di discriminazione. Ha scritto infatti Augusto Simonini sulla rivista « Nuova Generazione» che il ritenere giusto soltanto l'esprimersi secondo la « grammatica » ha un sapore chiaramente « ideologico », pretendendo « di proporre come valori universali quelli che in realtà sono solo espressioni di una classe, a volte di un gruppo ristretto in funzione egemone al vertice della scala sociale ». Discorsi di questo genere avrebbero fatto inorridire (o ridere) Marx, al quale invece essi pretendono di ispirarsi: ma è possibile, viene da chiedersi, che studiosi i quali pensano di potere parlare di questi problemi, che magari riempiono i loro scritti di citazioni di Saussure e di Chomsky, non abbiano mai letto il secondo libro della Scienza nuova di Gia.mbattista Vico, dove avrebbero imparato qualcosa di meglio sull'origine delle lingue e sulla differenza fra « parlati nobili » e « parlati volgari », impedendosi in tal modo di ripetere reiteratamente dei luoghi comuni? La verità è che oggi qualunque tipo di discorso culturale lo si 20

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