Gir0Lan10 Cotroneo Nel caso in questione, quell'atteggiamento « demistificatorio » di cui certi ambienti della cultura italiana sembrano andare particolar1nente fieri, è in realtà un atteggiamento ·vecchio quanto il mondo, riscontrabile, se soltanto la si sa leggere, in ogni pagina della nostra storia letteraria, presente in ogni 1nomento delle vicende culturali. Esso risponde inoltre a una precisa esigenza, arriveremmo a dire, pratico-polHica nella più vasta accezione in cui questo termine può essere inteso. Menare perciò grandissimo vanto e - forti del neologismo con cui la si indica - gabellare come originale un'operazione del tutto consueta, è segno soltanto di ignoranza o di malafede. Tuttavia qualcosa di originale nell'odierno processo di « den1istificazione » lo si trova: ed è l'arroganza e la presunzione con cui esso viene compiuto. Arroganza e presunzione che derivano, a nostro avviso, dalla mancata comprensione del significato (storico e teoretico) dell'operazione in atto, che, come già si è detto, rappresenta un momento ricorrente nella storia della cultura di un popolo. Ma prima di passare alla identificazione del significato di questo concetto di « demistificazione » è forse il caso di esemplificare il modo in cui esso viene inteso oggi. L'occasione la offre un breve dibattito, curato per « L'Espresso » da Giovanni Giudici, al quale hanno partecipato Giorgio Petrocchi, Ottavio Cecchi e uno fra i più noti « demistificatori » del panorama culturale italiano contemporaneo, Giorgio Manganelli. Il modo in cui la questione è stata intesa (anche se il famigerato termine non è mai stato adoperato, il si~ gnificato del dibattito era certamente quello) permette infatti di darsi ragione della mediocrità dell'operazione e della superficialità con cui essa viene affrontata. L'argomento riguardava la letteratura italiana, cioè la necessità di ridimensionare quelli che Giovanni Giudici ha chiamato i « busti di n1armo », quella « cresta » di « grandi » che costituiscono il ritaglio del quadro della nostra storia letteraria disegnato, oltre un secolo fa, da Francesco De Sanctis. Sarebbe un sollievo - ha scritto infatti Giudici - « per l'ex scolaro bocciato alla maturità sul Saul dell'Alfieri apprendere con postuma soddisfazione, da nuove fonti autorevoli e autorizzate, che il bollente astigiano era in realtà poco più di un chiacchierone; o per colui che in anni lontani scivolò mala1nente sulla buccia di banana dell'ode All'amica risanata leggersi, comodamente seduto su una poltrona del. soggiorno, una filza di maldicenze sul Foscolo! ». Ci si consentirà di dire che con1e discorso è piuttosto banale. 16
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