Nord e Sud - anno XIX - n. 149 - maggio 1972

Michele Guerrieri il Muratori, Castelpagano si spopolò a causa della penuria di acqua e gli abitanti emigrarono per la maggior parte nella vicina San Marco in Lamis, che allora contava 119 famiglie pari a circa 600 abitanti. Il periodo seguente fu ben triste per questa zona, come per tutto il Mezzogiorno. Un periodo in cui « i viceré, i governatori, i capitani, le milizie e le altre numerose schiere di avidi e rapaci hildaghi ed avventurieri spagnuoli piovvero sulla misera patria nostra, e peggio che lupi famelici o crudeli avvoltoi, se ne saziarono a loro beneplacito e ne fecero aspro governo » ( CARABELLESE: Nord e Sud attraverso i secoli, Bari, 1905). Nulla di notevole, se non di aspre sventure, presenta la storia locale in quel periodo. Tra tanta miseria, quasi non bastasse la perfidia degli uomini di dentro e di fuori, anche la natura volle gravare la mano su queste povere terre. Già molte volte San Marco in Lamis era stata danneggiata dai terremoti nel 1223, nel 1227 e nel 1349; ma i terremoti più funesti furono quelli del 1627 e del 21 maggio 1646, mentre di 1ninore violenza furono quelli del 1657 e del 1731. Non mancarono l'e carestie per danni prodotti alle campagne dalla siccità come nel 1590 e nel 1686, né le pestilenze di cui fierissima quella del 1656. A queste avversità di natura e di uomini si aggiunse il gioco secolare del feudalesimo. Le prepotenze dei baroni, infatti, aumentarono in ragione diretta della debolezza della corona; pur raffrenati dagli Aragonesi, i baroni furono sempre in lotta, fino ai Borboni, con le università che difendevano come meglio potevano i loro diritti minacciati e conculcati ad ogni pie' sospinto. Questi ed altri privilegi popolari, soprattutto gli usi civici (sia di origine remotissima, sia di più recente concess~one), erano fonte di litigi tra le università e i baroni; litigi negli ultimi tempi fomentati dalla Corte nella lotta tra la borghesia già salda e il feudalesimo già decrepito. Queste promiscuità si cercò di sciogliere fin dalla fine del secolo XVIII con la divisione e la concessione enfiteutica delle terre di demanio comunale, e ciò non ottenutosi per un ultimo supremo sforzo dei baroni, si ritentò la prova, con le leggi eversive della feudalità, al principio del secolo scorso. « Il governo del decennio credé, con le teorie ancora fisiocraticbe delle pubbliche amministrazioni, che bastasse aver due braccia sane al lavoro e il possesso di un pezzo di terra al sole, per aver tutti i giorni la mensa domenicale del buon re di Francia: illusioni! Data la ripartizione dei demani ai nullatenenti di ogni classe, il possesso di un breve pezzo di terra, che è sempre dell'infima qualità, non cambia la condizione economica della classe dei contadini » (RACIOPPI: Contadini e proprietari nel napoletano, Napoli 1877). Come scrive Tommaso Fiore in Un popolo di formiche (Bari 1952): « essi, la vivente materia della storia, gli inconsci propulsori di ogni rinnovamento, la sorgiva di ogni energia 98

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