Ugo Leone la costruzione di centrali subiscono forti slittamenti nel tempo, col risultato di impedire un aumento della capacità di produzione adeguato al continuo aumento dei consumi. Ecco, dunque, perché si prevede e si auspica che nel prossimo futuro buona parte delle centrali termoelettriche italiane saranno di carattere nucleare. Attualmente appena il 3% circa della energia elettrica in Italia viene pro, dotto da centrali elettronucleari. E invece, come si legge nel « Documento preliminare programmatico» per il prossimo programma economico nazionale, occorre rivolgere una particolare attenzione al settore dell'energia nucleare, « che potrebbe rappresentare, in una prospettiva di lungo periodo, una parziale alternativa alle fonti energetiche tradizionali, contribuendo in tal modo ad accrescere il grado di sicurezza e dì autonomia in campo energetico». Per questo settore, appunto, « viene predisposto un programma di promozione che, sulla base del coordjnamento dei programmi del CNEN e delle imprese dell'ENEL, si propone lo sviluppo dell'industria nucleare». In Italia si cominciò a parlare della necessità di una politica nucleare nel 1956, dopo la prima chiusura del Canale di Suez da parte dell'Egitto in seguito all'attacco franco-inglese-israeliano. Conseguenza immediata della chiusura di questa importante « via del petrolio», fu, appunto, la paura, da parte dei paesi dell'Europa occidentale, che potesse essere compromessa la continuità delle forniture di petrolio dal Golfo Persico. Tale paura indusse i paesi interessati a costituire un « comitato dei tre saggi» di cui faceva parte per l'Italia Francesco Giordani. Questo comitato suggerì la necessità di orientarsi verso la costruzione di centrali elettronucleari in modo, appunto, da ridurre la dipendenza dalle fonti energetiche medio-orientali. L'Italia si impegnò seriamente in questa azione e nel giro di qualche anno furono messe in esercizio tre centrali a Latina, alla foce del Garigliano e a Trino Vercellese, per una potenza complessiva di circa 550 megawatt. La soluzione della crisi di Suez provocò un rallentamento della « corsa all'atomo», ma la successiva chiusura del Canale, nel giugno 1967, e il boom delle centrali nucleari « scoppiato» negli Stati Uniti tra il 1969 e il 1970, hanno riproposto il problema in termini più pressanti. Anche l'Italia, come abbiamo visto, con l'ENEL, si è rimessa in corsa; ne è derivata le decisione di costruire una quarta centrale lungo il Po, fra Piacenza e Cremona, presso l'isola Serafini. Più ancora, l'ENEL, di fronte alla prospettiva di rincari del petrolio, si proponeva di mettere in cantiere ogni anno una grossa centrale elettro-nucleare da 800-1.000 megawatt. Tale programn1a ha subìto nel 1970 una battuta d'arresto a causa dell'insufficiente disponibilità di capitali per nuovi investin1enti. Comunque, se si riuscirà a rispettare ugualmente il programma, nel 1980 risulteranno in funzione da 5.500 a 6.500 megawatt di in1pianti nucleari, la cui produzione coprirebbe intorno al 15% della produzione complessiva di energia elettrica contro il 3 % circa attuale. 30
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==