Nord e Sud - anno XIX - n. 146 - febbraio 1972

Tullio D'Aponte scala nazionale e quella regionale sono sovente dime_nsion~ contemporanee e contestuali della funzione che assolvono i porti maggio·ri. A questo proposito, sarebbe stato bene esprimere chiaramente un orientamento sugli strumenti operativi attraverso i quali si dovrebbe realizzare la gestione dei sistemi e dei complessi portuali. Che non possa trattarsi di mera amministrazione, ma si deb·ba giungere a forme dii tipo imprenditoriale, è ormai chiaro per turtti.. Ma quale debba essere l'unità territoriale su cui dimensionare la suddivisio11e delle competenze e l'attribuzione dei poteri di ciascL1n Ente, è quanto ci sembra meno 1 chiaro. In molti, hanno sostenuto la possibi1lità di creare un'Azienda Autonoma che, come quella delle Ferrovie, gestisse i porti. Il territorio nazionale sarebbe suddiviso in compartimenti, costituiti attraverso un riesame delle funzioni primarie e dei rapporti di complementarietà che legano i singoli scali e, nell'ambito di direttive con1uni di politica portuale, ciascun complesso, autonomamente, gestirebbe gli spazi portuali ricadenti sotto la pro•pria giurisdirzione. Ipotesi più suggestiva che altro; creerebbe, infatti, un organismo mac-· chir1oso ed uniforme, laddove la realtà portuale abbisogna di strumenti agili, adattabili ad una molteplice variabilità 9i configuraziJoni. Non sernbra, quindi, che si possa confezionare una formula migliore di quella dell'Ente consortile, costituito in forma obbligatoria tra lo Stato, alcuni enti economici, gli enti autarchi1ci territoriali, le rappresentanze degli operatori e dei lavoratori e, in forma volontaria~ tutti gli altri enti interessati alle vicende del porto. Piuttosto, quel che conta, a parte gli enti da consorziare, è la definizione dello spazio territoriiale entro il quale deve agire l'Organismo di gestione: nella sua duplice considerazione di « retroterra » e, più specificamente, di « spazio portuale ». Il retroterra di un porto è una configurazione dinamica che sii allarga o si restringe a seconda dei settori merceologici dei traffici considerati e a seconda dell'estensione e della qualificazione dell'avanmare di ciascun porto. Tuttavia, un certo ambi:to• territoriale « primario», entro il quale svolge la sua influenza ogni complesso portuale, è agevolmente definibile; ne consegue cl1e i relativi enti autarchici territoriali rappresentano i conso,rziati obbligatori, mentre, proprio iJn fl1nzione del continuo variare dell'area di influenza dell'unità portuale, potrà estendersi, in forma volontaria, la partecipazione di altri enti alla gestione. Ma, come si vede, l'estensione del retroterra è fortemente condizionata dalla politica seguita dall'Ente, nel senso che, ad una pirù elevata produttività dei servizi prestati, corrisponderà, necessariamente, una dilatazione dell'area d'influenza, o, meglio, d'attrazione commerciale del porto. Queste considerazioni riconducono il nostro discorso· all'esigenza che l'Organo di gestione possa agire su ampi e diversificat~ spazi portuali in modo da razionalizzare i propri interventi in opere e servizi, secondo 1 schemi di sviluppo concepiti i111una visione globale dei problemi delle infrastrutture, in 56 Bibiiotecaginobianco \

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