Nord e Sud - anno XIX - n. 146 - febbraio 1972

Clotilde lvl.arghieri vamo, con affetto grande: « il sasso di Matera », perché, ap,punto, sapeva e poteva essere scontroso e perfino tagliente se ci sì allontanava da quei registri nei quali si inquadravano la sua profonda serietà e l'intensità dolorosa con la quale, oramai da spettatore, guardava e cercava di capire l'Italia attuale con le sue volgarità e il suo dilettantismo ideologico,, come l'ha definita Bettiza; e, vi aggiung.eremmo noi, quelli che erano, i suoi problemil di semp,re: i problemi della storia e i rapporti tra l'uomo e il destino. Sì, Nicola non era uomo facile; e se una conversazione s'incamminava per ~ binari della frivolezza o delle chiacchiere, reagiva con mo·di anche bruschi (ma non voleva, non riusciva a ferire che i vanesi). Ogni parola di Nicola, e piì1 ancora i suoi gremiti silenzi che inducevano ai ripensamenti, al tornare sul già detto, o detto male, testimoniavano la profonda e totale serietà del suo1 spirito dinanzi ai grandi problemi che cercava di risolvere p·ur sapendo che so1 no risolvibili solo sul piano umano. Si capisce dunque fin troppo bene perché egli fo1sse un isolato, anche se circondato ·da amici per la vita. E si comprende anche perché i no,stri letterati non lo prediligessero, arroccati come sono itI1 mafie, tra patteggiamenti e facilonerie, prigionieri della propria i111finitavanità. Lui era il contrario di un parolaio, di un venditore di fumo e poteva essere brusco dinanzi all'uso sbadato, superficiale o impaziente delle parole. Perché alle parole credeva. Basta ricordare le sue critiche teatrali, così stringate, asciutte, per vagliare quale fosse il culto da lui dedicato ala parola come specchio, di un pensiero e non gioco· verbale o fumisteria. Ma non era vero, come poteva apparire ai letterati che lo sentivano severo e distante, che Chiaromonte disdegnasse la « letteratura». Il vero risvo1to di questo suo disdegno apparente era un infinito amore per quella lettera.tura che riflette i problemi del vivere e non si attarda nel narcisismo e nel compiacimento verbale. Parlando con lui di q11esto argomento uscì un giorno in questa frase: « La religione delle lettere l'hanno sentita solo i russi». A r1oi, che ascoltavamo, la frase sembrò troppo categorica ed esclusiva; ma adesso, adesso che ogni sua parola, come accade per coloro che ci hanno lasciato, ci appare come una lettera sigi1llata che apriamo per coglierne il messaggio, questa frase, pur nella sua limitazione, ci fa capire di più e meglio quale era il suo credo, profondo: vivere la vita prima che formularla. Non aveva fatto così lui stesso? Ma che poi egli volesse e mirasse a una riabilitazione della letteratura, ne è prova il suo libro « Credere e non credere », dove è proprio nell'opera di fantasia che l'autore ricerca la sola autentica conoscenza. Esistenzialmente tutto quello che possiamo conoscere della Storia è quello che ci rivela la viieenda umana del caso singolo, dell'uomo che, vivendo e soffrendo, riflette il mistero del vivere. Mi accorgo di parlare di Nicola come se fosse stato per me, un amico di lunga data, come lo erano quelli in mezzo ai quali ebbi la fortuna di incontrarlo, pare incred~bile, solo di recente (la nostra società letteraria è così snobistica e mondana che no1 n favo,risce gl'incontri, igno·ra la rapsodica civiJtà di cucire insieme le persone che potrebbero intendersi). C'erano, ad Anacapri, 52 Bibiiotecaginobianco

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