Nord e Sud - anno XIX - n. 146 - febbraio 1972

,,, Tito e i nazionalisti croati politici di altre Repubbliche federate: della più progredita (la Slovenia) e delle sotto-sviluppate (specialmente il Montenegro e la Macedonia). Il problema s'accentua e si complica quando ai motivi di contrasto eco11omico s'aggiungono elementi di dissidio etnico (croati contro serbi in Croazia; macedoni divisi tra bulgari, greci e jugoslavi in Macedonia; musulmani tra albanesi e serbi nella regione autonoma del Kossovo ). Tito s'è battuto energicamente contro le « degenerazioni nazionalistiche », contro le « spinte centrifughe », le quali s'erano accentuate dopo le riforme costituzionali del 1971, opportunisticamente interpretate al di là del loro rilievo di fondamentali diritti d'autonomia. È stato posto in questione lo stesso ruolo della LCJ: somma di « sei parti ti » e di « sei classi operaie », o centro unitario propulsore del « patriottisn10 federale »? Nella disputa è parsa accentuata la voce dei sostenitori d'una restaurazione autoritaristica: tesi respinta da Tito, in evidente accettazione del giudizio espresso dal montenegrino Veselin Djuranovic ( « abbiamo già sperimentato il socialismo di Stato, e non vogliamo più sperimentarlo»: per « socialismo di Stato» s'intende in effetti, lo « stalinismo », il metodo rigoristico di comando); ma uno dei nuovi segretari comunisti croati, Josip Vhrovec, ha ammonito: « La causa continua dei conflitti sociali e delle complicazioni nel nostro Paese è nella contraddizione tra l'autogestione e l'economia del mercato unico jugoslavo ». Ci si muove, forse, contro le autonomie aziendali e settoriali valorizzate dall'autogestione, ritenute fonti di uria liberalizzazione d'indubbio contenuto politico? Alcuni timori in tal senso furono esternati durante il secondo congresso dell'autogestione (Serajevo, 5-8 maggio 1971). Ma nella seconda conferenza panjugoslava della LCJ (Belgrado, 25-27 gennaio 1972) il tema è stato ripreso in chiave più decisamente politica. Si è tentato d'attenuare la capacità paralizzante dei nazionalismi in sede organizzativa, riducendo da quindici a otto il numero dei membri del Comitato Esecutivo della LCJ (in rappresentanza delle sei Repubbliche federate e delle due regioni autonome); è abrogata la prassi - maj, peraltro, formalmente codificata. - del diritto di veto, poiché è fatta obbligatoria l'esecuzione delle decisioni adottate a maggioranza. È un ritornò mitigato, sulla carta, alla prassi del « centralismo democratico », che il teorico Veljko Vlahovic ha definito nei seg1.1entielementi: libero confronto delle opinioni, disciplina creatrice e non meccanica, vasta iniziativa individuale e collettiva, impiego di mezzi democratici nella revoca dei dirigenti. Si fa sempre pii.1 ristretto, al di là d'ogni formulazione teorica, lo 21 Bibl-iotecaginobianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==