Nord e Sud - anno XIX - n. 145 - gennaio 1972

Ugo Leone aziende. Al contrario, le raffinerie, con tutta la serie di implicazioni iIIlfrastrutturali che comportano (oleodotti, attracchi petroliferi ecc.) e, quindi, anche le industrie petrolchimiche, vanno coorcliinate fra di loro e co·n altri elementi della struttura territoriale del paese. Si tratta di un'esigenza finalmente sentita anche in sede di programma economico nazionale. E infatti nel Documento preliminare al Piano economico 1971-75, dop·o aver prospettato l'estgenza di un razionale sviluppo dell'industria di raffinazione sia per quanto riguarda le dimensioni degli impianti, sia per quanto riguarda la loro ubicazione e la politica commerciale, si afferma che l'individuazione delle linee future di sviluppo della raffinazione in Italia comporta « in primo luogo una analisi critica delle attuali ubicazioni delle raffinerie». A questo scopo ----prosegue il Documento - appare opportuno fare riferimento, in primo luogo, al criterio urbanistico, cioè al criterio di compatibilità con gli insediamenti di altro tipo già esistenti o prevedibili sulla base di piani regolatori e di direttrici di svhluppo già in atto. Sarà così possibile suddividere le raffinerie in due gruppi: quelle suscettibili di ampliamenti, anche rilevanti, e quelle prive di tale requisito. Poiché queste ultime non potranno raggiungere le dime11sioni che dànno luogo alle economie di scala, si dovrà favorire nei limiti del possibile il loro trasferimento in altre località. Per quanto riguarda l'ubicaz~one dei nuovi impianti, occorrerà tenere presenti sia i vincoli specificamente legati all'assetto del territorio, sia quelli derivanti dalla possibilità di ricezione del petrolio: a questo fine è necessario rovesciare l'attuale tendenza al condizionan1ento, da parte dei traffici petroliferi, delle scelte portuali; e lo si potrà fare mediante uno specifico piano dei porti petroliferi. Ma, abbiamo detto, occorre anche porre un freno alla proliferazione degli impianti di raffinazione. All'inizio abbiamo ricordato che àa una parte esiste una sottoutilizzazione degli impianti e dall'altra il petrolio raffinato supera di gran lunga i~ fabbisogno interno, tanto che circa il 25% dei prodotti lavo1 rati nelle raffmerie italiane è dest~nato all'esportazione. Va aggiunto che l'attività di raffinazione comporta un assorbimento di mano d'opera veramente irrisorio e, ancora, che l'industria della raffinazione è quella che presenta uno dei piu alti rapport~ fra capitale investito e occupazione: circa cento milioni per addetto, mentre nella media degli altri settori manifatturieri il rapporto non supera i venti milioni per addetto. Non si riesce proprio a capire perciò quali vantaggiJ deriverebbero all'Italia dal porsi come « grande centrale internazionale di raffinazione» e soprattutto quali vantaggi potrebbero derivarne al Mezzogiorno, che pure « vanta» la localizzazione di oltre il 50% della capaci1tà di -raffinazione esistente in Italia. È perciò, ancora, che non si riesce a comprendere perché sia stata autorizzata l'installazione di una raffineria alla foce del Sangro, in una regione 62 Bibiiotecaginobianco

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