Italo Talia strializzazione si fanno 1 promotrici, di una civiltà ll:rbana .fondata su rapporti più civili così tra le classi sociali come tra gli· imdividui, su una più libera e consapevo]e concezione della vita, sulla partecipazione anche delle popolazioni del Mezzogiorno ai beni materiali e morali propri di una società moderna. Per CLti, se è vero che non si pt1ò menare gran vanto d;el fatto che l'accumulazione n1edja di capitali industriJaU si è più che duplicata nel Mezzogiorno· durante gli ultimi dieci anni rispetto al periodo 19511961, in quanto - come avverte la stessa ricerca della S\Tll'VlEZ prima ricordata - bisogna tener conto, nel secondo periodo, « dell'aumentata incidenza degli investimenti finanziati a tasso agevolato sugli· investimenti indttstriali complessivi realizzati nel lVIezzogiorno: incidenza che, calcolata sui dati della contabilità territoriale risulterebbe dell'ordine del 20% in inedia dal 1951 al 1961, e superiore al 70% negli anni successivi », è anche vero che quanto si è reali1zzato testimonia della « progressiva efficacia assunta dall'intervento straordinario ». Al contrario, di fronte ad ogni consuntivo - anche se parziale e di breve periodo - sui risultati raggiunti nello sviluppo industriale delle regioni meridionali, viene invocata la necessità di cambiare rotta. E non saremo certamente no,i a negare i limiti del tipo di politica industriale portata avanti· in questi ultimi anni nel Sud; secondo una stima de1l'lsril il progresso tecnico sopprime nel Mezzogiorno circa 20.000-25.000 posti di lavoro all'anno nella sola industria manjfatturiera, per cui.i il numero dei nuovi posti di lavoro che vengono creati riesce ap,pena a compensare il numero di quelli che si perdono; senza parlare dello sviluppo eccessivo e irraziionale delle raffinerie. Ma da qt1esto ad una condanna globale dello sviluppo industriale realizzato o da realizzare, il passo è lungo. Invece la sinistra cattolica ed i comunisti riscoprono l'agricoltura e la civiltà contadina (nem~ci da sempre, d'altronde, della penetrazione nel Mezzogiorno dell'industria dj Stato così come di quella privata, donde l'artificiosa polemica sui « poli di sviluppo » e la sterile contrapposizione tra diffusione e concentrazione dell'indt1strializzazione ); la sinistra laica polemizza sulle cosiddette « cattedrali nel deserto », scopre l'ecologia, la difesa dell'ambiente ed i valori mitici di una presunta civiltà meridionale da recuperare e conservare; e quasi senza rendersene conto finisce per scegliere una posizione di conservazione e di retroguardia nei confronti dello sviluppo civile del Mezzogiorr10. Sembra quasi un rito: ogn~ cinque anni si scopre che la politica di industrializzazione è fallita e che il meridionalismo è in crisi. È accaduto nel 1960 ( chi non ricorda la ormai storica « Relazione Pastore » ?), lo si è ripetuto nel 1965 alla vigilia del primo Piano di coordinamento degli interventi pubblici ·nel Mezzogiorno (s1 pensi al successo del libro di G. De Rita, A. Collidà e M. Carabba, Meridionalismo in crisi). E lo si riafferma oggi, tanto da parte degli inviati speciali dei grandi quot~diani del Nord, quanto da parte di studiosi (di solito legati ai sindacati operai, come Luigi Frey e Nicola Cacace) e cli meridionalisti che har1no operato a lungo proprio negli enti preposti alla p·olitica di sviluppo delle regioni meridionali. Per quanto riguarda i primi, 56 Bibiiotecaginobianco
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