Nord e Sud - anno XIX - n. 145 - gennaio 1972

' ' Rivista mensile diretta da Francesco Compagna • Francesco 1 Compagna, D'opo l)elezione del Presidente - Giro1amo C,otroneo, Mille e un socialismo - Vittorio Barbati, La sicurezza europea ieri ed oggi - Giorgio Nebbia, La società dei rifiuti e scritti di Guido Compagna, Ugo Leonr .iio Manzi, Italo Talia, Giovanni Tranfa· ' ANNO XIX NUOVA SERIE - GENNAIO 1972 - N. 145 (206) ,,,. EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Bibliotecaginobineo • - •

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I NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XIX - GENNATO 1972 - N. 145 (206) DIREZIONE E REDAZIONE: Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346 Una copia L. 600 - Estero L. 900 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Estero annuale L. 6.000, semestrale L. 3.300 - Fascicolo arretrato L. 1.200 - Annata arretrata L. 10.000- Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoli Bibiiotecaginobianco

• SOMMARIO Editoriale f 3 J Francesco Co·mpagna Dopo l'elezione del Presiden,te [9] Girolamo Cotroneo lvJ.ille e un socialismo [24 J Vitto,rio, Barbati IJa sicu.rezza eiLropea ieri ed og·gi [35] Gior11ale a più voci Italo Talia L'irldustrializzazio11e contestata [55] Ugo Leone Abruzzo, raffinerie e sottosviluppo [60] Guido Co1 mpagna Politica e libertà [64] Profili Giovanni Tranfaglia Rocco Scotellaro e « l'uva pu.ttanella » [ 69] C~nvegni e Congressi Elio, Manzi Geografia utile ed in.ittile [80] · Giorgio Nebbia Autori vari Documenti La società dei rifiuti [ 89] Napoli ecologica [106] Bibiiotecaginobianco •

, Editoriale Abbiamo sempre ritenuto che la riforma universitaria, così com'è stata concitatamei,ite in1postata fin dagli inizi, risultasse tutt'altro che conforme alle esigenze per le quali lo svecchiamento e la riorganizza- -z,ione · delle Università costituiscono impegni cui le forze politiche non devo110 e non possono sottrarsi. D'altra parte, allo scopo di non fornire mitnizioni a coloro che voglion.o contrastare lo svecchiamento e la riorgarzizzazione delle Università per lasciare le cose co1ne stanno, ci siamo astenitti finora dal far valere le nostre riserve, le nostre preoccup·azioni, le nostre critiche. Ma ora dobbiamo pitr constatare che la riforma universitaria, già 1nale i1npostata, è stata addirittura sfigurata nel corso del suo iter parla1nentare, tittt' altro che avviato a conclusione. È anche impro 1 babile, anzi, che questo silo travagliato iter parlamentare possa concludersi nel corso di una Legislatura cui rima,ne un solo anno e fo·rse neanche questo. È venuto dunque il momento di riprendere il discors'o sulla riforma un.iversitaria e di ripre11derlo dalle ragioni per le quali, co1ne dicevamo, abbiamo sempre ritenuto che ne fosse errata e con.citata l'in1pos1tazione. Infatti, se ispirata a ragione, la riforma dell'ordinamento universitario avrebbe dovitto perseguire due obiettivi, in un certo modo divergenti fra loro: 1) adeguare quantitativamente e qualitativamente le strutture dell'istritzione sitperiore alle esigenze di una società rzazionale - iri parte moderna e in parte avviata verso un rapido anclie se confuso processo di amn1odernamento - facendo sì che queste strutture potessero costituire itna spirzta per itn ulteriore passo in avanti; 2) sviliLppare al massin10, compatibil1nen.te con la natura pubblicistica del nostro ordi11an1ento iL11iversitario, i connotati autonon1istici che caratterizzano ab origine l'Università, cercan.40 di compensare in qitesto niodo i rischi e gli sqiLilibri derivanti da una riforma che avesse di mira esclusivan1en.te lo scopo di garantire l'efficacia del sistema di istruzione superiore, misurata, tale efficienza, sul metro della sua rispondenza · ai bisogni della società civile, così co1ne verrebbero via via interpretati clai centri di potere politico ed economico. Nel contesto istituzionale dei problemi connessi con qitesto secondo obiettivo si sarebbe anche dovuto provvedere a recidere i legami che fino ad oggi, e i11 n1~do sempre più discutibile, hanno inopportitna1nente collegato co11 centri di potere politico ed economico, e comun3 Bibliotecaginobianco

Editoriale · que con interessi della società civile estranei all'Uniyersità, non tanto l'istruzione universitaria nel suo complesso, quanto singoli docenti universitari, che si sono valsi del prestigio della cattedra per assicurarsi posizioni di privilegio sia nel campo delle libere professioni che nei settori più svariati dell'attività pubblica o privata; o che irtversamen,te hanno turbato il normale svolgimento della vita accademica, facendo valere su questo terreno le posizioni di forza (politica o economica) acquisita fiLori dell'Università. Estirpata la mala pianta di queste contaminazioni, non sarebbe poi stato difficile trovare adeguati accorgi1nenti pratici per impedire che si perpetuassero abusi che tanto hanno contribuito a gettare discredito sulle nostre istituzioni universitarie. Bene: così con1'è stata impostata e poi portata avanti fino alla soglia della discussione in aula nel secondo ramo del Parlamento, la riforn1a universitaria non consente certamente di persegiLire questi obiettivi che abbiamo definito come primari. Per quanto riguarda l'adeguamen.to delle strutture, si è creduto di poter interpretare le esigenze della società civile schiudendo indiscriminatamen'le le porte dell'Università non ancora riformata, ma solo resa più facile, e perciò declassata, a quanti più cittadini possibile, senza formulare la benché 1ninima previsio·ne sulla effettiva spendibilità del titolo così consegilito. Che si sappia, infatti, gli organi respo11sabili della politica di piano non hanno mai fornito indicazioni a proposito dei modi e dei tempi della riforma universitaria: con1e se la prevedibile presenza, sul mercato delle forze di lavoro, di• una n1assa d'i laureati assoliLtamente sproporzionata alle possibilità di offerta di i1npieghi adeguati alle attese che il conseguimento di una laurea rende legittime, non f asse argome11to degno di rifiessione e di attenzione da parte di chi è gravato del compito di predisporre i piani di un ordinato svilupp·o economico e civile del paese. In pari tempo, la sempre più generosa etargizione di « presalari », fruibili senza nemmeno passare per un controllo scrilpoloso sulla produttività - in termini di applicazione allo studio da parte dei singoli beneficiari - di tanto cospicuo investimento di pubblico danaro, ha consentito all'estrema si11istra di denunciare questi aspetti contraddittori della politica universitaria ( liberalizzazione degli accessi, presalari, dequ.alificazione dei titoli) addirittura come manifestazioni di un deliberato tentativo da parte dei ceti dirigenti di creare sacche di disoccupazione ritardata. Né occorre aggiunge che la stessa estrema sinistra giLarda alla legione di laureati d'isoccupati o sottoccupati che si va formando e gonfiando carne al possibile serbatoio di una forza d'urto rivoluzionaria: una speranza, questa, che urta con.tra una consolidata esperienza e rifiette lo scarso rigore logico delle analisi far4 Bibl1otecaginobianco

I Editoriale 111ulate dai neo-marxisti della sinistra parlamentare: e infatti 1nolto piu probabile che le schiere di laureati disoccitpati vadario a gonfiare la forza d'iLrto dell' estren1ismo di destra, tradizionalmente e struttural111ente piìl adatto dell'estremismo di sinistra se si tratta di dare sfogo alle frustrazioni piccolo-borghesi. Per ciò che riguarda invece il secondo obiettivo, l'auton.omia dell'Università, si è partiti dalla ipotesi che riforma dell'Università volesse dire anzitutto abbattimento del potere dei professori di ruolo e perciò si è mirato solo a politicizzare e ad « assemblearizzare » gli organi di governo della U·niversità, con gravissime insidie per la libertà di ricerca e di insegnamento, il bene che deve essere ad ogni costo tutelato e senza il godimento del quale l'Università avrebbe forse ancora un. corpo, ma certo non più l'anima. La verità è che il problema della degenerazione dell'esercizio del cosiddetto potere baronale andava affrontato cercando di ricomporre un potere troppo frazionato tra i singoli, ma sempre ferme restando, appunto, le guarentigie di libertà personale indispensabili all'esercizio di u,n'attività di ricerca e di insegna1nento ispirata alla tradizione di pensiero critico, grazie ariche alla quale l'Italia è un paese che a buon diritto può dirsi moderno e libero. Se qitesti sono i vizi di origine della riforma univers'itaria, vediamo ora qitali sono i vizi che la riforma ha contratto lungo il tratto del sito iter parlamentare cl1e è riuscita finora a percorrere e cl1e è stato caratterizzato da alcuni elementi totalmente negativi. 1) L'assenza di iLna qualsivoglia prospettiva citlturale, sostituita da iLna diff itsa diffidenza, da parte cattolica, nei confronti di una istituzione considerata co,ne la roccaforte della cultura liberale e razio11alistica, e da una de1nagogica propensione, da parte s'ocialista, a « democratizzare » come che sia la cultura. 2) L'assenza, già lan1entata, di Llna visione politica della funzione che compete all'Università in un paese modern.o e perfino, in via subordinata, di una visione aziendalistica dell'Università concepita restrittivamente come fornitrice di servizi alla società civile. 3) L'assurda pretesa di tradurre in termini legislativi le propos'te, frettolosaniente giudicate come le più feconde, portate avanti dalla contestazione studentesca, dimentican.do che questa aveva originariamente elaborato le site tesi nelle sedi universitarie più progredite ed « efficienti » del mondo e che solo in rapporto a talune disfunzioni tipiche dell'istruzione superiore e dell'organizzazione della ricerca negli Stati Uniti gli argomenti dei contes_tatori potevano avere un qitalche valido appiglio po.Zeniico. Sarebbe perciò un graviss'imo errore interpretare il riflusso del movimento studentesco nelle nostre Università come un 5 Bibiiotecaginobianco .

Editoriale risultato positivo dell'avviata riforma. È vero, invece,. che gli estremisti del movimento studentesco, operanti fino a ièri all'interno delle Università, al riparo di ciò che è ancora vigente del medievale diritto d'asilo, hanno via via consun1ato l'iniziale capacità di guida, e di animazione, e si sono esauriti, o, nzeglio, rinsecchiti a furia di praticare i sentieri di un estremismo sempre più spinto, lungo i quali hanno finito con l'uscire dalle Università stesse per cercare altri terreni d'azione. 4) L'assenteismo dei professori di ruolo di fede politica riformista, i qilali, frustrati dalle manifestazioni più plateali della contestazione, hanno perduto ogni residua fiducia nella classe politica (non a torto, ahimé!) ed hanno qitindi ceduto il campo all'arl'nata di scontenti che il ritardo della rif or1na ed in parte anche l'insipienza politico-amminis trativa dei medesimi professori di ru,olo hanno concorso a creare in questi anni all'iriterno delle Università. Incaricati, pitr legittimamente desiderosi di stabilità, e assistenti, J?Ur legittimamente ansiosi di sottrarsi al vincolo di generale dipendenza cl1e li lega ai rispettivi titolari di cattedra, con il sostegno di parlamentari sensibili alle suggestioni dei promettenti sviluppi elettorali dell'iniziativa, sono riusciti a fare delle loro richieste, sen1pre più radicalizzate, i punti veramente qualificanti della legge di rifor1na. Questa, infatti, nella sua attuale stesitra, al di là di ciò che è ovvio ( le dichiarazioni di pri11cipio) o fitmoso ed imprecisato (i mitizzati dipartimenti), non fa che nioltiplicare vertiginosan1ente il numero dei docenti di ruolo, prevede11do per tutti eguali funzioni ed eguali· poteri, con/raria111ente alla prassi di tutti i paesi del 1nondo ed in omaggio invece ad una cosiddetta « filosofia del docente unico » - itnica, povera filosofia cui la legge mostri di ispirarsi. Mai come i11 qltesto caso è en1ersa chiara « la fatalistica acquiescenza delle forze politiche ad og11i sorta di co11testazione, quasi che esse non avessero - co,ne ammonisce La Malf a - f iu1zione di selezione e di guida nel risolvere i nodi della società »! In questo quadro, la politica di liberalizzazione degli accessi, stolida1ne11te ribadita nella legge di riforma, nonostante i risultati catastrofici del periodo di sperimentazione, provoca itn effetto secondario n.on meno pernicioso di quello primario del declassamento degli studi itniversitari e a sua volta causa di aggravamento di tale effetto pri,nario: gonfiare al massi1no il numero degli iscritti all'Università 011de ne ris1ulti sempre più insostenibile il rapporto fra nu111ero dei docenti e n.itmero dei discenti e quindi sempre più indilazio1·1abile l'adeguamento del primo al secondo mediante la promozion.e sul campo, e senza concorso, di incaricati ed assistenti, considerati corporativisticamente come «aventi diritto ». Così, se approvata, la legge di riforma servirà solo a 6 Bibiiotecaginobianco

Editoriale far sì cJie docenti tarLto n1e110 preparati quanto piu nunierosi sfornino anno per anno troppi laureati, la gran p,arte dei quali n.on in grado di poter aspirare ad uno status sociale e professionale consono al titolo che lo Stato conferisce loro. Tutto il res'to, con1prese le gravissi1ne insidie alla liberta d'insegr1a1nento, discende co1ne corollario da questo nodo ce11trale. Co1i riferimen.to piil diretto alle vicerLde parlanientari del progetto di riform_a itniversitaria, va pitre detto che il n101nento nel quale il disegno corporativo delle associazioni di categoria si è i1nposto piil scopertamente e sca11dalosamente sitlla fragile volontà dei legislatori di servire gli iJiteressi generali, è stato quello finale dei lavori i11co1111nisisione al Senato: le «norme transitorie» per l'auton1atico inquadramento nel 11uovo ruolo del « docente unico » di assistenti ed incaricati, elaborate dalla co1nmissione del Senato, rappresentano infatti il pun.to più basso che si sia finora raggiunto nel tormentato iter della riforn1a. Tanto è vero che lo stesso Ministro della P.I. ha promosso in aula la revisione clegli articoli dedicati alle « norme transitorie », lasciando sperare in iLna resipiscenza, sia pitre tardiva, da parte dei gruppi della maggiora1iza go11ernativa rispetto agli atteggiamenti adottati in commissione. Ma qiLesta resipisce1iza avrebbe acquistato valore sostanziale solo se avesse costitiLito la pren1essa cli itna rinieditazio1ie complessiva del progetto di legge, perché le « nornie transitorie » di in1pronta den1agogica e· corporativa che verLivano così eliniinate dal progetto erano organica111e11tecollegate a qilest'ultimo; e quindi, senza la rimeditazione comJ:Jlessiva, l'adozione di « riornie tran,sitorie » più restrittive n.011farebbe che aggravare la co1ifilsione, fino a limiti di tensione difficil111ente prevedibili e sostenibili. O si riaffernia il prùicipio secondo il quale l' allargamento del corpo dei docenti, necessario, deve avvenire gradualmente, con tiltte le garanzie di una selezione vera111ente efficace, e qui11di a livelli di carriera molteplici e diversificati, oppure la massa degli aspiranti alla « ruolizzazione » si porrà come forza d'itrto capace di scar~ dinare anche lo sbarran1.ento rappresentato dai concorsi per ,nigliaia di cattedre, previsti dalle « nor1ne transitorie» nella stesura attuale (aitla ciel Senato). Non a caso, la commissione della Camera dei Deputati l1a conclu.so i suoi lavori senza raggiungere un accordo a questo proposito: se ne deduce la facile previsio1ie che in aitla le « norme transitorie »; sara11no ricondotte alla primitiva formulazione ( commissione del Senato), a meno cl1e non ci si decida a rimettere in discussione la filosofia e la figura del «· docente unico ». Liberalizzazione degli accessi e docente unico sono dunqite i pitnti qualificanti di questa riforma e contraddicono entrambi agli obiettivi 7 Bibiiotecaginobianco

Editoriale· che la riforma universitaria avrebbe dovuto _ propprsi, « se ispirata a ragione », nell'interesse degli studenti e del p·aese. Riforma n1olto inquinata, dunqile, dalle spinte corporative che hanno portato alla sua formiLlazione e alla stla caratterizzazione in base ai due pilnti qiLalificanti di cui si è detto. È da aiLgiLrarsi che il nuovo governo ritiri questa legge di riforma e ne presenti subito iln'altra, n1eno macchinosa e confor1ne agli obiettivi che ci dovrebbe proporre nell'interesse degli studenti e del paese e non secondo gli in.teressi settoriali di questa o qu,ella categoria di docenti: un'altra con un 11-umerominore d'i articoli e di commi. Questa riforma macchinosa e corporativa, deniagogica, è tra l'altro difficile che possa passare in tempo: percl1é, con i siloi più di cento articoli, non sappian10 quante volte dovrà fare la navetta tra Camera e Senato. E d'altra parte, la riforma è urgente e necessaria. È veramente impossibile e improponibile la sua revisione sostanziale, onde l'Università ne risulti ammodernata e non declassata? 8 Bibiio_tecaignobianco

Dopo l'elezione del Presidente di Francesco Compagna « Questa volta i cocci sono grossi e non sarà facile rimetterli insieme »: è il sobrio commento attribuito all'on. Giorgio Amendola da a1cu11i giornalisti che lo avevano sollecitato ad esprimere un giudizio sul risultato delle elezion1 presidenziali. E non c'è dubbio che i rapporti fra le forze politiche sia110 stati messi a dura prova ed escano gravemente deteriorati dalla vicenda che ha impegnato le due Camere dal 9 al 24 dicembre. Tanto deteriorati che tutti si domandano se le Camere potra11no sopravvivere e in pari tempo se i « cocci » non siano troppo grossi per affrontare con qualche risultato utile una consultazione elettorale. D'altra parte, come già i11 altre occasioni, presentatesi nel corso degli ultimi tre anni, quanto più si è costretti a constatare che la coaliz1one di centro-sinistra continua ad ago11izzare, ta11to più ci si re11de conto a11che del fatto che non ci sono alternative politicamente accettabili - tali, cioè, da garantire 11n consolidame11to ed una espansione della democrazia - rispetto alla maggioranza eh.e include i socialisti e per disintegrare la quale i socialisti stessi si sono dati i11stancabilme11te e tenacemente da fare. Alla luce di ql1esta co11siderazione di ordine generale, giova comunque dedicare alle elezioni presidenziali l1na pacata riffessio11e: dalla quale risulti come e perché, a nostro giudizio, queste elezioni presidenziali hanno rappresentato un limite al di là del quale la disintegrazione della maggioranza diventa irrimediabile e la prova delle prossime elezioni politiche potrebbe risultare non sopportabile ai fini del residuo equilibrio politico che consente alla democrazia qua11to meno di durare. Di qui, appunto, la 11ecessità per tutti di r1entrare al dl (111adi questo limite rappresentato dalla vice11da presidenziale; di qt1i, app11nto, l'esigenza di ricavare, da quanto è accaduto fra il 9 ed il 24 dicembre, ie indicazioni utili per consentire alla democrazia non solo di durare, ma anche di crescere. Perché se è vero che dura, è anche vero cl1e non cresce più; e, qualora 11011ripr~ndesse a crescere, potrebbe· prima o poi, e magari più prima che poi, vedere insidiata la sua stessa durata. All'indomani stesso dell'elezione a Presidente della Repubblica del sen. Giovanai Leone, e stato l'on. B~ttino Craxi, autonomista 9 Bibiiotecag inobianco

F'rancesco Co1npagna del PSI, a dichiarare che « lo svolgimento d~ll'intera vicenda presidenziale » l1a proposto ai socialisti « motivi seri di riflessione sulla loro strategia politica ». E certamente, è dalla « riflessione » dei socialisti che ci si può attendere un raddrizzamento della situazione e una risposta SL1llapossibilità del centro-sinistra di ricollegarsi alle promesse che non ha sapL1to mantenere e cl1e erano promesse di una diversa e migliore qualificazio11e dello sviluppo economico rispetto a quella che negli anni del centrismo aveva dato luogo a nuovi squilibri, senza che ne risultassero sanati i più antichi. Risulta evidente comunque che la dichiarazione di Craxi ha voluto esprimere, tempesti, 1amente ancl1e se cautamente, un rilievo critico nei confronti della strategia - e naturaln1ente anche della tattica - di Mancini e dei suoi collaboratori, che fino all'ultimo giorno si erano spavaldamente ritent1ti vincitori del torneo presidenziale. E d'altra parte, la strategia manci11iana per il torneo presidenziale no11 costituiva l1na eterogenea varia11te, ma u11a logica ed omogenea conseguenza della strategia imposta al PSI fin da quando si è costituita la « 11uova maggioranza», con l'emarginazione degli autonon1isti, e fin da quando è stata elaborata la tesi degli « eq_uilibri più ava11zati ». Per quanto riguarda, comunque, questa strategia applicata alla vice11da presidenziale, è rimasto come documento significativo l'articolo che Mino Monicelli ha pubblicato su « l'Espresso » proprio 11el gior110 della stretta, quando sj era affacciata là candidatura del sen. Leone. Monicelli ha scritto, infatti, che « poiché le sinistre aveva110 già 1nanifestato il loro veto sia a Fanfani, sia a candidature tipo Run1or, che ne fossero equivalenti, non restavano, dunque, per via di esclusione, che due candidati possibili: o Moro o Nenni ». Ma Mo11icelli non si dimostra soltanto convinto che nell'uno e nell'altro caso « il successo dell'operazio11e Mancini pareva assicurato» (e lasciandosi andare alle suggestioni delle immagini marziali paragona Mancini 11ientedimeno che a Pétain davanti a Verdun); egli definisce esplicitame11te la elezione di Moro con1e la « soluzione ottimale » dal punto di vista dei socialisti: « ottimale », ovviamente, rispetto a quella rapprese11tata dalla possibilità che venisse eletto Nenni, l'uomo che la « 11uova maggioranza» aveva emarginato fin dal 1969. Del resto, da q11alche giorno, solerti portavoce di Mancini erano andati trionfalisticamente affermando nel Transatlantico di Montecitorio che, come a Fanfani era stato contrapposto De Martino, così a Rumor, o a Leone, sarebbe stato contrapposto Nenni. Con questa candidatura di neutralizzazione, il punto di arrivo non poteva es10 Bibiio~ecaginobianco

Dopo l'elezione del Presidente sere cl1e .Moro: la « soluzione otti111ale » di cL1i l1a scritto Mino Monicelli, fedelmente registrando qL1ello che era stato fissat<? come l'obiettivo della strategia manci11iana. Non solo: a testimonianza di quanto fosse spregiL1dicata, e i11 pari tempo opaca nella stia rigidità, la strategia di Ma11cir1i e dei suoi collaboratori, c'è il ritardo con il q_L1aleNe11ni e stato « rnesso fra le stanghe ». Non quando i repubblica11i lo aveva110 proposto, lasciando ai socialisti la scelta dei modi e dei tempi, ma offrendosi a11che di ass11mere loro l'iniziativa, onde la candidatura del leader autonomista no11 rist1ltasse « di contrapposizior1e » e 11011si configurasse come « cambio di staffetta » rispetto a quel]a fro11tista di De Martino. Si è voluto invece attendere proprio il mon1e11to 11el quale, affacciatasi la candidatura di Leone, era J1ecessario per Ma11cini « strume11talizzare » Nenni e « contrapporlo » come candidato di neutralizzazione in vista di q11ella « solt1zio11e otti1nale » c1.1il'unità delle sinistre, tanto caparbia1ne11te volt1ta, ma11tenuta e va11tata, ir1 a11titesi alla solidarietà fra le componenti della maggioranz~ di ce11tro-sinistra, si era proposta di approdare e stava già per approdare qua11do era sembrato che Malagodi, « dopo una serie di colloqui con Mancini », fosse disposto ad offrire una copertura in ca1nbio di un i11serimen to. Che i liberali fossero disposti a votare per il candidato democristia110 scelto dai con1t1nisti era poco credibile. E difartti; così 110n è stato. Ma i solerti portavoce n1anci11iani erano andati dicendo, pri1na e dopo l'assemblea dei grandi elettori della DC 11ella 11otte tra il 19 ed il 20 dicembre, non solo che Forlani a,,eva « mollato » Fanfani ed era oramai acq_t1isito a Moro, ma anche e soprattutto che acqt1isito a Moro era Malagodi, co11 il consenso del suo gruppo, al quale era stata promessa la partecipazione ad u11 governo con la DC ed il PSI, senza il PSDI e senza il PRI: questo, anzi, veniva prese11tato come jl s11ccesso finale di un'azione di avvjcina1nento ai liberali, o, n1eglio, di adescamento dei liberali, comi11ciata circa sei mesi or sono, quando proprio Ma11cini aveva « aperto » a Malagodi, in occasione di u11a « trib11na politica ». I ma.ncinia11i, nell'immediata vigilia dell'asse1nblea dei grandi. elettori democristiani, per convalidarè l'ipotesi della disponibilità dei liberali nell'offerta di t1na copertura alla elezio11e di l\'1oro, avevano perfi~o fatto circolare una « battuta » che pretendeva di essere sferzante: « ora che abbiamo trovato i signori (e cioè, i liberali), non c'è più bisogno dei domestici (e cioè, i repubblicani ed i socialdemocratici) ». Era uria « batt11ta » c}:ie, tra l'altro, voleva an11 Bib·I iotecaginobianco

Francesco Co,npagna dare incontro anche allo stato d'animo delle sinistre democristiane che, come di co11sueto, n1anifestavano un fo·rte risentimento contro i socialdemocratici, che investiva anche i repubblicani, e che volevano « colpevolizzare » gli uni e gli altri davanti all'assemblea dei grandi elettori den1ocristiani: « colpevolizzarli » come rei di avere neutralizzato, gli uni, e di non aver aiutato, gli altri, la car1didatura ufficiale della DC; ,< colpevolizzarli » come rei di preferire, alla elezione di un democristiano, l'elezione di u11 laico. Si cercava, comunque, anche da parte socialista, di far leva sulla irritazione per la lettera di Saragat, una irritazione che si era molto diffusa e che si diceva fosse tale d.a spianare ormai la strad_a a Moro, dato che fra gli stessi fanfaniani sarebbe prevalsa l'animosità contro Saragat sulla animosità contro Moro. Non sono stati, d11nque, i socialdemocratici ed i repubblicani a seguire una strategia antisocialista; ma è stato Mancini ad imporre ai socialisti una strategia animata dall'intento di tagliar fuori socialdemocratici e rept1bl1licani (i « camerieri »), magari con il sollecitato, concorso dei liberali ( i « signori_»). Né la strategia antisocialdemocratica e antirepubblica11a dei socialisti è stata modificata quando socialdemocratici e rept1bblicani hanno acquisito il merito di avere indotto la DC a prendere in considerazione il ritiro della candidatt1ra di Far1fani; anzi, qt1ando questo si è verificato, i socialisti hanno ritent1to che si dovesse eccitare il risentimento dei grandi elettori democristia11i co11tro Saragat e contro La Malfa, onde ne risultasse una reazione a favore di Moro in termini di patriottismo partitico. Per eccitare questo risentimento, erano proprio i manciniani che, i11sieme ai pit1 settari tra i 1norotei, andavano dice11do che Saragat, con la sua lettera, riproponeva la propria candidatura come assembleare e che La l\Jlalfa stesso si era mosso strumentalmente co11tro Fanfa11i e altrettanto strumentalmente aveva detto « 110 » ad una eventuale ca11didatura di Moro. E così, immeschinendo sempre l'interpretazione degli atteggiaffienti socialdemocratici e repubblicani, e considerando, dopotutto, poco rilevante il peso politico degli uni e degli altri, Mancini ha ritenuto fino all'ultimo di avere i11mano tl1tte le carte vincenti; ma non si è reso affatto conto che. fin dall'i11izio aveva portato il partito socialista fuori dal ce11tro-sinistra. È vero che si tendeva a for1nare u11a maggioranza nel cosiddetto « arco costituzionale », e quindi una maggioranza più ampia di quella del governo; ma è anche e soprattutto vero che la disintegrazione della maggioranza di centro-sinistra, mediante la contrap12 Bibiio_tecaignobianco

Dopo l'elezione del Presidente posizione a questa dell't1nità delle sinistre, precludeva in partenza la possibilità di una convergenza di tutte le forze dell' « arco costituzionale »; e che presentare il vice-presidente del Consiglio come candidato dell'unità delle sinistre significava voltare disinvoltamente le spalle al centro-sinistra, umiliare il go,,erno, rientrare in uno schie- _ ramento frontista, fornire munizioni ai fascisti e sfidare comunque le reazioni dell'elettorato, che finora ha dato una maggioranza ai partiti della coalizione. È stato comunque deplorevole non solo che l'on. De Martino, uomo i cui comportamenti politici non sono mai venuti meno alle regole della correttezza, abbia prestato il suo 1iome ad un'operazione quanto meno discutibile sul piano della correttezza politica, ma pure che l'on. De Martino non abbia saputo o voluto valutare quanto questa operazione sul suo nome potesse concorrere a determinare u11a situazione oggettivamente controproducente sia per il partito socialista, sia per il centro-si11istra, sia per il cosiddetto « arco costituzionale ». Perché - come ha osservato Remo Giannelli nel suo « diario presidenziale », pubblicato su « Politica » del 2 gennaio - « non si può aderire al principio dello schieramento costituzionale e poi partire per primi con un candidato che si presenta come quello di Lln fronte delle sole sinistre ». Si può ritenere che ad indurre De Martino ad offrire il proprio nome per questa errata ed inca11ta operazione sia stata la sua coerenza co11 la tesi degli equilibri più avanzati. Ma questo dimostra che tale tesi, qt1ando è portata alle sue estreme co11seguenze, risulta essa errata ed incat1ta. E comu11que, gli equilibri più avanzati di De Marti110 so110 stati se111pre ipotizzati come una linea di tendenza; e invece la collocazione frontista del partito socialista nelle successive votazioni per l'elezione del Presidente della Repubblica è stata presentata come 11na scelta di campo. In realtà si è tentato di avviare, su l1na qt1estione che ha natura emine11te1nente costituzionale, una drastica svolta politica; come l1a scritto Adolfo Battaglia st1 .« La voce repubblicana », si è cercato « di forzare gli equilibri in una direzione troppo ' avanzata ' e in una sede impropria ». Non soltanto « si voleva determinare, facendo leva sulla sinistra democristiana, uno schieramento che dalla DC arrivasse al PCI ed al PSIUP » per elèggere il Presidente; ma ci si era proposti, fra i socialisti, e sempre facendo leva sulla sinistra democristiana, l'obiettivo di emarginare socialdemocratici e repubblicani prima· in occasione delle elezioni presidenziali e subito dopo in sede di formazione del governo: con Moro presidente, si riteneva infatti di poter approdare alla formazione di un governo bicolore 13 Bibiiotecaginobianco

Francesco Compagna (DC+ PSI), gradito dai com11nisti e, se proprio n~cessario, coperto dai liberali. Quanto questo disegno fosse irrèalizzabile nella pratica vicenda politica cui si voleva dar corso con l'elezione presidenziale risulta dal fatto che esso IJrescindeva del tutto da considerazioni di tale rilievo che, se tenute adegt1atan1e11te presenti da strateghi più accorti e più lungimiranti di quelli che l1anno trascinato il PSI fuori dal centro-sinistra, avreb.bero portato alla consapevolezza dell'impossibilità di cogliere l'obiettivo che la strategia n1anciniana si era proposta di cogliere; e avrebbero portato, altresì, alla presa di coscienza del pericolo che ne derivasse t1na situazione politica nella quale ad essere emargi11ati fossero proprio i socialisti. Il disegno I11anciniano, infatti, non solo partiva da una sottovalutazione della capacità di reazione dei socialdemocratici e dei repubblicani, assai meno facilme11te emarginabili di quanto non si sia ritenuto possibile, e forti cosi per la posizione che occupano nello schieran1ento parlamentare come per le benemerenze che hanno accumulato, garantendo per venticinqL1e anni l'equilibrio democratico; non solo presuppo11eva da parte dei liberali L1na spregiudicata - ed in pari tempo suicida - disponibilità ad assolvere la funzione della foglia di fico in cambio di un i11serime11to nell'area del potere, concepito nei ter1nini in cui lo concepiscono i peggiori tra i socialisti (le dichiarazioni rilasciate a questo proposito dal sen. Prerr1oli, e confermate da Malagodi, sono risuonate molto significative: « il partito di Ma11cini ci lt1singava con l'argomento che noi liberali avrern1110 scavalcato i socialden1ocratici, sostituendoli 11el governo di gennaio, ma il PLI l1a respinto l'invito, perché esso si esauriva... in termini da ' stanza dei bottoni ' »): ma soprattutto 110n teneva conto del 13 giugno ed ir1 particolare dei proble1ni che il 13 giugno ha aperto nella DC e che la DC no11 può eludere senza pagare alla scadenza del 1973 un prezzo elettorale che potrebbe essere troppo alto non solo per la stessa DC, 1na per tutta la democrazia italia11a. Certo, all'on. Moro va rico11osciuto il merito di non essersi prestato ad operazioni di tipo groncl1iano, il cui esito, per la DC e per la democrazia italiana, sarebbe stato catastrofico. Ma quale sarebbe stata la conseguenza se Moro fosse stato designato come ca11didato ufficiale di una DC che avesse dovuto st1bire il ricatto di altri, e quindi se Moro, grazie al collegamento delle sinistre democristiane con lo schieramento frontista dei socialisti e dei comL1nisti, fosse diventato lui il Presidente della Rep11bblica? È la preoccupazione per la conseguenza che ne sarebbe potuta derivare, e certo non 14 Bibiio~ecaginobianco

DoJJO l'elezione del Presidente l'animosità personale, che ha spinto repubblicani e socialdemocratici ad impegnarsi per bloccare u11a candidatura che si manifestava « con un segno di scl1ieramento ben preciso » e, a loro avviso, « av,,enturoso per la de1nocrazia ». La candidaduta di Moro, infatti, si 111anifestava come q11ella dell'uomo che dalla « delimitazione della maggioranza » era passato alla cosiddetta « strategia dell'attenzione », tanto più equivoca nella sua prospettiva di attuazione, quanto più confusa nella sua formulazione, tutta ir1tessuta di ondosi riferimenti allusivi non facilmente interpretabili. Ed all'origine di questa candidatura, come documenti più rece11ti e più significativi, c'erano il discorso ai « suoi », pL1bblicato in agosto da << Vie nuove », ed il discorso al Consiglio nazionale del settembre, di contrasto con la linea proposta e tenuta da Forla11i. Infine, questa candidatura, qualora fosse riuscita vincente, per la caratterizzazio11e che aveva sempre più marcatamente acquisito avrebbe comportato, dopo la sconfitta di Fanfani, anche l'umiliazione di Fa11fani, e quindi, dopo la sconfitta della n1aggiora11za democristiana, anche l'umiliazione della maggioranza democristiana. Ecco la conseguenza ultima: quando Moro fosse stato eletto da Donat Cattin, da Mancini e da Ingrao, si sare.bbe aperto al MSI, e proprio un anno prima delle elezioni politiche, uno spazio elettorale a11che rnaggiore, e magari sensibilmente maggiore, di quello che gli errori ed ahimé! anche il 1nalgoverno del centro-sinistra, insieme all'avventato e velleitario sovversivismo praticato nelle scuole, nelle fabbricl1e e nelle piazze dai grt1ppuscoli extra-parlamentari, gli avevano già aperto nel git1gno dell'anno scorso. È questa una co11siderazione rispetto alla quale perde molto del suo rilievo politico a11tifascista la polemica sui voti dei gra11di elettori fascisti che avrebbero inquinato la maggioranza di 518 voti del 24 dicembre qualora la dissidenza democristiana nel segreto dell'L1r11afosse stata più consiste11te di quanto no11 sia lecito ritenere se si tie11e conto di un'altra polemica, quella del settimanale di Mancini e di J annuzzi contro le sinistre democristiane, che proprio il 24 dicembre non avrebbero avuto il coraggio della dissidenza (cfr. l'articolo di Paolo Pavolini su « l'Espresso » del 2 gennaio). Noi siamo rispettosi di tutte le forme 11ellè quali si manifesta l'indignazione antifascista, anche di quelle più epidermiche e più semplicistiche; ma siamo pure consapevoli dell'esigenza di contrastare lo spazio politico ai fascisti e di quanto, per far fronte a questa esigenza, non sia sufficiente l'indignazione, comunque manifestata, se non soccorre l'intelligenza dell'azione politica. 15 Bibl-iotecaginobianco

Francesco Compagna Ora, se si afferma che l'esito delle elezio11i pre_sidenziali è stato lacerante per la maggioranza di centro-sinistra, si constata 11n fatto che purtroppo si è verificato. Ma se poi ci si domanda a quali risultati politici ed elettorali avreh.be portato l'esito delle elezioni presidenziali, qualora avesse prevalso la strategia portata avanti da Mancini, e Moro fosse stato eletto (se non contro la DC, malgrado la DC), ci si può anche confortare constatando cl1e questo fatto fortunatamente non si è verificato: perché ne sarebbe derivata, a vantaggio dei fascisti soltanto, una lacerazione n1olto dolorosa della DC ed una spaccatura della maggioranza di centro-sinistra molto più difficilmente rimedial1ile di quella che pur si è verificata dal momento in cui i socialisti a questa maggioranza hanno voltato le spalle. A qt1esto p1111tosi potrebbe osservare che, per l'elezione del Presidente della Rept1bblica, socialdemocratici e repubblicani hanno anch'essi voltato le spalle alla maggioranza di centro-sinistra per concorrere a formarne una centrista. Ma questo è avvenuto appunto in conseguenza del fatto che i socialisti erano voluti uscire dalla maggioranza di centro-sinistra e poi non avevar10 voluto rientrar,,i, quando, dopo la prirr1a votazione al suo nome, Leone risultava essere pervenuto alla soglia della elezior1e (giustamente Remo Giannelli aveva allora annotato nel suo « diario presidenziale », già citato: « visto il fallimento della candidatura Nenni, che, malgrado le attese, resta agli stessi voti di De Martino, -sarebbe a11cora possibile e onorevole un ripiegamento socialista su Leone »; tanto più che tale ripiegamento « potrebbe essere n1otivato con lo stallo dei voti di sinistra, co11 il ca1nbio di cavallo da parte della DC, con le benemerenze di Leone, tra cui la sua mediazio11e sul divorzio, con l'opportunità di farlo riuscire senza l'ipoteca, presunta o reale, dei voti fascisti »). I\d ogni buon conto, poi, i repubblicani, per evitare che si determinasse una situazione irrimediabile e che si potessero accendere ipoteche di resta11razione centrista sulla elezio11e del Presidente, hanno insistito nel precisare che non si doveva attribuire valore di i11dicazione, ai fini dello schieramento politico-parlamentare, alla maggioranza che in un modo o nell'altro avrebbe consentito di eleggere il Presidente della Repubblica. Non fosse altro che per questo, i repubblicani non possono essere affatto qualificati con1e nemici implacabili dei socialisti, quali si è voluto far credere che fossero; sono invece proprio i repubblicani quelli che più di tutti si sono preoccupati di sal,,aguardare le condizioni per l'auspicato recupero dei socialisti a quel centro sinistra che i socialisti avevano 16 Bibiiot_ecaignobianco

• Dopo l'elezione del Presidente voluto abbandonare e nel quale non erano voluti rientrare neanche quando le circostanze lo ave,,ano consigliato. Tanto è ver9 che, dopo le elezior1i presidenziali, i repubblicani si sono affrettati a rendere noto di essere disponibili solo per un centro-sinistra che sappia darsi contenuti conformi alle esigenze che derivano dalla grave situazione economica e fi11.anziaria del paese, ma non per formule di maggioranza diverse e alternative rispetto a quella che include necessariamente i socialisti. Resta comunqt1e il riscl1io cl1e la forzatura a sinistra, voluta dai socialisti, possa portare ad uno sbandamento a destra, contrastato dai repubblicani: che se1nbrano più di altri sensibili a questo rischio, nella consapevolezza, tra l'altro, cl1e le elezioni presidenziali, ed i11particolare il fallimento del disegno manciniano di forzatura a sinistra degli equilibri politici, hanno dim~strato quanto fosse fondata la considerazione da noi fatta valere nell'editoriale del numero di agosto-setten1bre: che il centro-sinistra, se è reversibile, « lo è a destra assai più di quanto non possa esserlo a sinistra». D'altra parte, le elezioni presidenziali hanno din1ostrato pure che i socialisti hanno a tal punto smarrito il senso dell'orientamento politico che si sono spinti n1olto spensieratamente oltre i limiti della compatibilità per quanto rigt1arda le esigenze mini1ne di tenuta della maggioranza di centro-sinistra: i comunisti non chiedevano tanto, e soprattutto non erano disposti a pagare l'offerta di frontismo, venuta dai socialisti, quanto sono stati costretti a pagarla. Questo è 11n altro dato politico della situazione che si è creata nel corso delle elezioni presidenziali: i comunisti sono stati costretti ad accettare l'offerta unitaria di Mancini, m.a sono poi rimasti immobilizzati da questa accettazione. È la prima volta, forse, che sono i socialisti ad egemonizzare l'unità delle sinistre: ma per condannarle tutte insieme alla sconfitta. Sembra, d'altra parte, che in generale i comunisti siano assai più sensibili e preoccupati di quanto non lo siano i socialisti dello sbandamento a destra dei ceti medi, e non soltanto dei ceti medi (aumentano gli iscritti alla CISNAL, specialmente nelle regioni meridionali), quale ha cominciato a manifestarsi con il 13 giugno: come se i socialisti avessero tenuto lontano dalla loro memoria di partito il primo dopog11erra, per sft1ggire all'esame di coscienza che le responsabilit~ gravissime dei m~ssimalisti. di allora impongono, mentre con Togliatti e Di Vittorio_ il pericolo dello sbandamento a destra dei ceti medi è entrato nella coscienza politica dei comunisti. E difatti, i comunisti, per le elezioni preside:nziali, si erano proposti 17 Bibl'iotecaginobianco

Francesco Compagna di applicare una « strategia di contatti e di collegamenti » altrettanto cauta di quella che stanno cercando di elaborare e di portare avanti per quanto riguarda l'esigenza di evitare il referendum antidivorzista e le spaccature di vertice e di base che fatalmente 11ederiverebbero. La strategia che i comunisti avrebbero gradito era cioè molto diversa da quella che hanno subìto; era meno avventata insomma di quella manciniana, che i com11nisti hanno dovuto appunto subire « fino in fondo » e che, qualora avesse colto gli obiettivi cui esplicitamente n1irava, avrebbe incentivato lo sbandame·nto a destra del ceto medio ed avrebbe messo la DC in condizione di inferiorità rispetto alla sua - e non sua soltanto - esigenza di contrastare tale sbandamento. Ma, come abbiamo detto, la strategia imposta da Mancini ai socialisti ed agli stessi comunisti era viziata per i troppi eccessi di spregit1dicatezza semplicistica cui si voleva affidare; e si hanno quindi buone ragioni per concludere che oggi n1olti, fra i socialisti stessi, fra i comunisti e fra i democratici, siano convinti, al di qua della cortina fumogena distesa dalla polemica s11lle responsabilità, che proprio a q11esta rigida e spregiudicata strategia si debba accollare quel che di insoddisfacente e perfino di preoccupante per tutti è risultato alla fine delle elezioni presidenziali. È stato quanto mai significativo in questo senso il fatto che Berlinguer, all'assemblea nazionale dei segretari regionali e provinciali del PCI, abbia affermato eh.e u11a « maggiore attenzione » deve correggere nel prossimo futuro l'errore 'di sottovalutazione che le sinistre hanno commesso per quanto riguarda il « peso » del PSDI e del PRI: un peso « che può essere notevole, specie in una fase in cui gli equilibri politici sono tanto precari ». Così Berlinguer ha più o meno implicitamente criticato il vizio di prepotenza della strategia manciniana, che mirava appunto a tagliar fuori non solo i socialdemocratici, ma anche i repubblicani, e che quindi ha provocato la reazione di legittima difesa degli u11i e degli altri, trascinando nel suo fallimento gli stessi comunisti che, dopo averla do-- vuta subire, fanno ora valere la constatazione che, per quanto « indispensabile », l'unità delle sinistre « non è sufficiente » ai fini di una « svolta democratica ». E certamente Mancini si è sentito toccato da questo rilievo di Berlinguer, se è vero che pochi giorni dopo ha rilasciato a « L'Espresso » stizzite dichiarazioni, molto dure nei confronti dei socialdemocratici e spe~ialmente dei repubblicani, a proposito dei q11ali ha detto, indirettamente polemizzando con Berlinguer, che essi « non sono in grado di determinare un bel niente, né sconfitte, né vittorie ». Ma allora, perché Mancini ha mobili18 Bibiio~ecaginobianco

Dopo l'elezione del Presidente tato tutte le artiglierie di ct1i poteva disporre per sparare a zero sui repubblicani, rei, a suo giudizio, di avere determinato la « sconfitta » del suo schema e la « vittoria » di t1no schema diverso? Resta comu11que il fatto che, mentre Mancini si ostina ad affermare che socialdemocrat1ci e repubblicani contano poco o niente, perché tra l'altro vogliono darsi un ruolo speciale, « in funzione antisocialista », assai più correttamente Berli11gt1er ritiene che la « svolta democratica » passi anche per un discorso che tenga adeguatamente conto del « peso » dei socialdemocratici e dei repubblicani. Ma, a proposito di questa « svolta democratica », ci sono due osservazioni da fare. La prima rig1.1arda il pericolo incombente di cui dicevamo: che, volendo forzare i modi ed. i tempi della « svolta democratica », si possa provocare lo sbandamento in senso antidemocratico, a destra. Ci sono oggi tutte le condizioni per una svolta a destra e gli errori delle sinistre hanno contribuito disinvoltamente prima a crearle e poi a potenziarle. Ora si tratta di neutralizzarle. Ma g11ai se si volessero sottovalutare qt1este condizioni di pericolo a destra! Di qt1esto stiamo incessantemente scrivendo su « Nord e Sud » fin da quando siamo stati chiamati a dare· un giudizio sulla contestazione e sui movimenti extra-parlamentari, sul maggio francese del 1968 e sull'autunno italiano del 1969. E pure di recente, nel citato editoriale del numero di agosto-settembre, scrivevamo del « gravissimo errore di valutazione » commesso, fi.11dal 1968, da democratici di buona volontà, ma di corta veduta: « si è ritenuto, infatti, cl1e il cli111apolitico f<)sse favorevole alle sinistre, quando l'interpretazione che si doveva dare all'epilogo del maggio francese, e cl1e noi abbiamo dato, induceva a ritenere che il clima politico, turbato dalle azioni di una ' nuova sinistra ' che offriva pretesti alla reazione assai più di quanto non creasse occasioni ad un'impossibile rivoluzione, stava diventando favorevole alle destre e che qt1indi era necessario serrare i rangl1i della solidarietà democratica e rassicurare il ceto medio ». Ma, al contrario, è stata compromessa la continuità dello S\ 1iluppo economico e si è lasciato che la legalità repubblicana diventasse il bersaglio di scalmanati e f~- cinorosi che, coltivando le pratiche di un sinistrismo estetizzante o infantilistico, portano attentato alla serietà ed all'operosità della sinistra; e quanto alla solidarietà democratica, malgrado l'indicazione fornita dalla saggezza dell'elettorato del 7 giugno 1970, non ci si è affatto preoccupati delle cons~guenze che potevano derivare e che sono derivate dalla sua disintegrazione. Ora, ammesso che si vogliano e che si possano neutralizzare le 19 Bibliotecaginobianco

Francesco Compagna condizioni di una svolta in senso antidemocratico, che sono state e sono conseguenze di un certo modo di impostare semplicisticamente e di portare avanti concitata1ne11te la politica di ce11tro-sinistra; e che quindi le condizioni di una « svolta democratica » possano prima o poi, e magari più prima che poi, venire a maturazione, si tratta di buona disposizione da parte di tutti coloro che alla svolta sono interessati: buona disposizione ad intendersi sui contenuti della politica di cam.biamento e di rinnovamento che si può fare, che si vuole fare e che si deve fare. È questa, appunto, la seconda osservazione da tener presente quando si parla di una « svolta democratica ». Ha ragione Giolitti q11ando afferma che la crisi nei rapporti fra i partiti di centro-sinistra (socialdemocratici e repubblicani non esclusi, è da presumere) dev'essere affrontata « attraverso un confronto aperto sui content1ti dell'azione di governo, precisati nei tempi e nei modi della loro realizzazione ». È un'affermazione che va incontro a quelle che i repubblicani hanno fatto valere come impegno politico in occasione del Congresso di Firenze; ed è un'affermazione che dimostra come non tutti i socialisti siano insensibili alle preoccupazioni dei repubblicani; e che vi sono socialisti autorevoli che a loro volta cercano saggiamente di farle valere, consapevoli che la sinistra, se vuole essere vincente, non può e non deve essere velleitaria ed enfatica com'è stata in questi anni; dev'essere assai più attenta di quanto finora non sia stata ai congegni grazie ai quali una società industriale funziona e progredisce; non deve consentire che a carico di qL1esta o di quella sua compone11te si possano anche soltanto formt1lare le accuse di malgoverno cui oggi purtroppo la sinistra tutta, per diretta responsabilità o per indiretta solidarietà, si trova esposta. Se tutto questo è vero, sembra legittimo dedurne che la sinistra ha subìto il danno non solo e non tanto della strategia manciniana applicata alle elezioni presidenziali, ma anche e soprattutto della strategia che i socialisti hanno applicato a tutta la vicenda politica che dal « disimpegno » del 1968 ha portato alla scissione del 1969, con la formazione della « nuova 1naggioranza », l'emarginazione degli autonon1isti, l'elaborazione della tesi degli « equilibri più avanzati » e alla fine la disintegrazione, malgrado i risultati elettorali del 1970, della sola maggiora11za di sinistra possibile. E questo proprio pare che abbia voluto dire l'on. Cattani, anch'egli autonomista, quando ha dichiarato che « non si tratta di cambiare governo, ma di cambiare politica », augurandosi che a tanto « provveda il prossimo Congresso del partito ». 20 Bibiio~ecaginobianco

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