Senza l'Europa un gigante politico con il quale necessariamente accordarsi, ma lo stesso riconoscimento viene fatto da Pechino nei confronti di Washington. E 110n diremmo, come dice « Il Manifesto », che Nixon farà il suo lungo viaggio fino a Pechino per inchinarsi ad accettare le condizioni di Mao. Crediamo, anzi, che quel viaggio aprira un'epoca lunga, difficile ed estremamente interessante di negoziati per stabilire, tra cinesi ed americani, i confini delle reciproche zone di influenza. Anche in Asia, naturalmente. Una vittoria dell'in1mobilismo? Niente affatto. Già il periodo « bipolare » della coesistenza ci ha abituati a vedere una mobilità estrema negli schieramenti internazionali. La realtà « tripolare » potrà addirittura accelerare questo processo. Ma ciò che, scritto o non scritto, è a base del patto di non distruzione a tre anziché a due, è proprio il principio della legittimità politica dei differenti sistemi e del metodo di convivenza con cui essi regolano i loro affari e i loro rapporti. In questo senso è chiaro dunque che la Cir1a non ha salito, attraverso la diplomazia del ping-pong, un gradino ulteriore della escalation rivoluzionaria, ma ha portato il proprio peculiare bagaglio ideologico e politico all'interno di un metodo, dichiaratamente accettato, di convivenza internazionale. I dirigenti cinesi continueranno naturalmente a tentare di allargare l'importanza politico-militare e le sfere d'influenza del loro paese. Ma ciò dovrà seguire certe regole, rispettare determinati tempi ed incontrare precisi limiti. La componente rivoluzionaria « pura» (ammesso che sia sempre esistita, poiché da almeno un decennio la Cina è e si comporta con spirito di grande potenza) della politica cinese no1ì potrà non venire frenata. E che ciò sia proprio un gran male resta da discutere. Certo, il bisogno di catarsi rivoluzionaria degli studenti e degli intellettuali europei di sinistra, nauseati dal benessere e dal consumis1no, riceverà un duro colpo. Ma è da vedere se soffriranno altrettanto gli operai e i contadini cinesi, se, com'è probabile (perché già accaduto ir1 altri paesi passati dalla rivoluzione alla cooperazione tra potenze moderne), la diplomazia del ping-pong avrà qualche effetto nei consumi e nel bepessere della società cinese. Del resto non è forse umano e rivoluzionario produrre più beni di consumo, promuovere più scambi commerciali, sviluppare maggiore ricchezza per seicento, settecento milioni di persone? E può darsi che questo orìentamento relativamente « consumistico » e comunque meno spartano-militare, sia proprio una delle prossime scadenze della politica i})terna cinese. 13 Bibiiotecaginobianco
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