Nord e Sud - anno XVIII - n. 143 - novembre 1971

La lezione di Meinecke Pistone ha avuto il torto di non ispirarsi, resta per lui il saggio di Lenin sull'imperialismo, che può ben definirsi termine fisso d'eterno consiglio, stella polare per quanti si accingono a scrivere la storia dell'età moderna. Non meraviglia, alla luce di questi atteggiamenti, che la recensione di Cervelli faccia quasi sempre venir in men te il classico dialogo tra sordi, tale è l'ostinatezza con cui egli si fa un punto d'onore nel trasformare i problemi suggeriti da una matura riflessione scientificopolitica in fatti storici determinati, con1prensibili soltanto a partire dall'interpretazione marxista-leninista della storia. Se Pistone, ad esempio, si chiede in che misura la politica di potenza sia conciliabile con una politica di riforme interne, chiaramente riferendosi alla considerazione hamiltoniana per cui non ci può essere progresso nella libertà in t1no Stato costretto, dai rapporti internazionali, a mantenersi sempre sul piede di guerra, Cervelli, in tutta risposta, si sente in dovere di ammaestrare: « Piuttosto che pensare all'inconciliabilità logica o dottrinaria (astratta) fra politica delle riforme sociali e politica di potenza, è opportuno investigare la realtà dell'im.perialismo e del livello cui era pervenuto il sistema econoniico che vi era sottinteso. Soltanto così è possibile rimuovere l'ambiguo fascino che figure indubbiamente eccezionali come quelle del 1\1.einecke e del Weber esercitano ... » {pag. 585). In altre parole, il pro:tJlema, che s~ poneva alla riflessione di Hamilton, non esiste; e Pistone, invece di Bibliotecaginobianco perder tempo con simili astrazioni, avrebbe dovuto rileggersi l'analisi leninista dell'imperialismo, se voleva davvero comprendere Meinecke e il mondo tedesco e inoltre rimuovere l'anibiguo fascino esercitato dai vari Weber (ma ambiguo per chi? o, meglio, perché? forse per i marxisti 11ostrani che, tir~nneggiati dal loro storicismo assoluto, sono talora sfiorati dal dubbio, leggendo Weber, di no11 essere in possesso di una ~)1iave d'interpretazione storica atta ad aprire tutte le porte). I..'altro grave limite di Pistone sta nel non essersi accorto che quelli di Meinecke « erano gli anni in cui lo viluJJpo del capitalisnio stava attraversando la :>Uafondanientale svolta storica, passando dalla fase concorrenziale al la fase 1nonopolistica, gli anni delle grandi concentrazioni industriali, della nascita delle società per azioni, della grande espansione del capitale fi11anziario niessa a fuoco da H ilf erding » (pag. 585). Senza questo quadro di riferimento, è impossibile, argomenta Cervelli, con1prendere a fondo le ragioni dell'i1nperialismo liberale di Weber e di Naumann. L'osservazione potrebbe essere pertinente - a parte il falto che Pistone rinvia spesso, per l'analisi sociale ed economica del periodo in questio 1ne, agli stessi tcs ti cita ti dal recensore -- ma ancora una volta non sfiora neppure quello che è il vero problema del libro. Qui si tratta ir-fatti di stabilire se sono stati il capitalismo monopolistico e la finanza a portare all'imperialismo - e quindi alla guerra - o, al contrario, gli interessi di potenza degli Sta ti nazionali a pro125

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