Dino Cofrancesco permanere, incrollabile, il pregiudizio relativo all'insuperabilità dello Stato nazionale, che della teorica della ragion di Stato costituisce, con1e rileva giustamente Pistone, l'aspetto più caduco .. Se è vero, infatti, che le esigenze di potenza dello Stato-nazione determinano, indipendentemente dalle buone disposizioni dei governanti e dei governati, le sue scelte di politi1ca estera, e, in una certa misura, condizionano la struttura stessa dei rapporti interni tra le classi e i ceti, è illegittimo, poi, derivare, da questa analisi spregiudicata dei comportamenti effettivi delle potenze, la fede nell'eternità dello Stato nazionale che, come tutte le formazioni storiche, è destinato inevitabilmente ad estinguersi laddove si mostri incapace di soddisfare quelle esigenze di ordine etico, giuridico e politico che ne determinarono la nascita. Per Meinecke, invece, non sembra esservi scampo: poiché gli Stati nazionali sono eterni, la reciproca distruzione può essere evitata solo se essi saranno in grado di moderare i propri appetiti. L'idea della ragion di Stato appare co,me l'espressio11e più matura del « periodo di ripensamento». La tendenza a spiegare su base oggettiva i comportamenti degli uomini di governo non è affatto scomparsa, ma, accanto ad essa, si fa più precisa la spiegazione su base psicologica della politica di potenza. Nell'opera, va riconoscit1to, le cause economiche e sociali occupano un posto sempre più decisivo, nella spiegazione degli avvenimenti storici, e lo stesso rapporto co11creto tra uomo di governo e necessità di potenza dello Stato vie122 Bibiiotecaginobianco ne individuato in termini più convincentì di q1.1anto non avvenisse prima della guerra. « L'origine della ragion di Stato - scrive Meinecke - va ricondotta a due fonti, all'istinto personale di potenza del dominatore e al bisogno del popolo soggetto che si lascia dominare per ricevere in cambio dei cornpensi e che con i suoi propri istinti latenti di potenza e di vita alimenta insieme quelli del dominatore. Per tal modo, dominatore e dominati sono stretti da un medesimo vincolo e cioè dal bisogno primigenio di associarsi. Conquistato che si sia il potere su di un popolo, questo potere richiede, per sua 11atura, di essere esercitato, se pre1ne il n1antenerlo. In quanto esiste . . ' . va orga11zzzato, in quanto e organizzato diventa una potenza autonoma, un qualche cosa di superindividuale che richiede cure, ci asservisce e asservisce sopra tutto colui che l'ha cercato .e voluto. Il dominatore diventa lo schiavo del proprio potere, i fini del potere cominciano a limitare l'arbitrio personale; è suonata l'ora natale della ragion di Stato» (L'idea della ragion di Stato, ed. cit., pag. 19). Il riferimento continuo all'istinto di potenza, tuttavia, implica l'attribuzione di un rilievo autonomo e di decisiva importanza, nello spiegare la condotta dello statista, alla sua decisione personale, motivata cioè i-1sicologicamente: l'equilibrio erre si c:rea nella psicologi1a del detentore del potere tra istinto di potenza e istinto morale è ormai il fattore determinante per lo storico che indaga sui motivi delle scelte compiute dallo Stato.
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