Francesco Compagna titi e sindacati, assai più gravi di quanto non lo ·siano quelle dei socialisti, che pur sembrano le più gravi. Se si considera poi che i sindacati rischiano, per non lasciare uno spazio libero alla loro sinistra, di essere a loro volta condizionati dalle minoranze estremiste e, anzi, ricattati, da queste minoranze eversive, ci si può agevolmente rendere conto della gravità di una situazione che risulta caratterizzata da condizionamenti paralizzanti, il condizionamento dei sindacati da parte dei movimenti eversivi, quello delle sinistre cattoliche da parte dei sindacati, quello dei socialisti da parte degli stessi sindacati e da parte delle sinistre cattolicl1e, quello degli altri partiti di governo da parte dei socialisti. E i dati di questa situazione ci riporta110, tuttavia, alle considerazioni di Nicola Matteucci (La grande coalizione, « Il Mulino », gennaio-febbraio 1971, pag. 9) sul « disordine cl1e si mescola alla paralisi »; sulla « sinistra psicologica » che « non ha alle spalle un sodo retroterra culturale » e che, « volendo essere soltanto più incisiva, più avanzata, più p11nitiva, è succube ad ogni slogan che venga da sinistra, tanto dal PCI che dai movimenti della contestazione »; sul « socialismo immaginato » che tiene luogo di cultura politica e che annebbia la coscienza dei « principi fondame11tali di una democrazia costituzional-pluralistica ». Si avverte, quindi, l'esigenza non solo di un discorso critico dei partiti nei confronti di certi riflessi e di certi metodi dell'azione sindacale, ma anche e soprattutto di un discorso autocritico dei partiti nei confronti della propria azione o, peggio, della propria inazione. E questo discorso autocritico deve investire, in generale, gli inquinati ed immiseriti retroterra culturali cui ogni partito si riferisce e, in particolare, la questione dei rapporti fra partiti e sindacati e quella del valore di rappresentatività attribuibile agli uni ed agli altri. Si parla tanto oggi, a proposito ed a sproposito, di partecipa~ zione. Si parla perfino di « den1ocrazia partecipativa ». Ma la democrazia o è rappresentativa, o non è. Si può comunque affermare che le esigenze di partecipazione sono tanto più avvertite e tanto più l_egittime in quanto si sono manifestate nei partiti spinte alla degenerazione in senso oligarchico della loro organizzazione, della loro gestione, della loro condotta politica. Qui11di la. rappresentatività dei partiti risulta 110n meno inquinata di quanto non lo siano i loro rispettivi retroterra culturali: e perciò il discorso sulla partecipazione rischia di essere avviato in termini di alternativa velleitaria rispetto al discorso sulla rappresentatività; oppure si tende a 10 Bibiiotecaginobianco
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