L'Italia all'alba del secolo XX in ultimo soltanto, di mezzi); invece di trasformarsi si è ri1dotta per entità di sup·erficie complessivamente occupata ... Onde le misere condizioni dei lavoratori rurali permangono, e permane la emigrazione, aumentatasi anzi utilmente per via del richiamo o,perato da parecchi amici, che già si tro1 vano a essere collocati in America 66. E tutto ciò accadeva in mezzo all'insensibilità e all'indifferenza dei ceti responsabili dell'Italia ufficiale 67 , i quali anzi non si lasciavano sfuggire la ·buona occasione per trarre abilmente profitto dagli effetti « benefici » di tante sofferenze. Orbene, mentre il Mezzogio 1 rno si privava delle sue migliori energie, soggiacendo all'abbando·no e allo sfruttamento senza possibilità di reagire, nel Nord si assiste a un radicale cambiamento di scena. Là dove, verso· la metà del sec. XIX, esisteva ancora, sotto forme più o meno larvate, una sorta di schiavismo agrario 68 , già nei primi anni di questo secolo fervevano le iniziative coo•perativistiche e le opere di bonifica. Di tali iniziative beneficiarono sojprattutto i braccia11ti che, dalla con66 E. AzIMONTI, Il Mezzogiorno agrario quale è, Laterza, Bari, 1919, pagg. 10-11. 67 In un discorso elettorale del giugno 1900, Giovanni Pascoli diceva fra l'altro: « .. .l'Università italiana ha mancato al suo dovere, ha lasciato commettere un delitto atroce. Voi sapete che l'Italia si è estesa, se non si è estesa l'università italiana. Migliaia e migliaia di lavoratori ogni anno lasciano la patria. Vanno ad aprire strade, a forar monti, a tagliar istmi per altri popoli, coltivano anche a coloro i can1pi e badano gli armenti, con1e gli antichi ergastoli. Altri fanno meno nobili arti, non pochi tendono la mano ... C'è, oltre alla nostra Italia, o giovani, un'Italia errante, un'Italia veran1ente schiava, che spesso riceve oltraggi per giunta al salario, per la quale spesso tace anche la pietà. O Italia divisa ed errante e faticante e schiava e oltraggiata e tiranneggiata e derisa e vilipesa, tu sei il nostro rimorso perché potevi essere il nostro onore e la nostra ricchezza; e sei, invece, il dolore e persino, qualche volta, la vergogna! Sei il nostro rin1orso. E intendo non dell'Italia stato, ma della borghesia italiana, ma della Universjtà italiana, prendendo questa parola come complesso di tutto ciò che s'insegna e s'apprende, d'arte e di dottrina. L'Italia pensante ha tradito la sua sorella povera: l'Italia lavorante» (Pensieri e discorsi, Zanichelli, Bologna, 1907, pagg. 185-86). 68 In Ron1agna i padroni avevano sui mezzadri un jus eminens, che giungeva a impedirne il matrimonio per non appesantire il fondo. Inoltre i padroni finivano spesso, prevalendosi de!l'istituto delle regalie, di portar via tutto il prodotto spettante ai contadini (F. BoNAVITA, Il padre del duce, Pinciana, Roma, 1933, pagg. 5874). Nel Parmense - così informa la relazione Barbati nella inchiesta J acini - « vi hanno padroni, che non si peritano di assegnare come quota di grani dovuti, melica avariata per sofferta u1nidi tà e le rimonda ture inferiori del frumento caduto sotto il crivello. Vidi io stesso più di una volta del pane che sembrava impastato con fuliggine: offerto ai pesci e ai cani affamati, lo rifiutavano». Nel Mantovano le cose non andavano meglio: « Il bifolco doveva pagare cinquanta centesimi per il diritto di stalla (il diritto cioè di godere il caldo della stalla). In altre plaghe era vietato ai contadini uscire dalla cascina dopo l'Ave Maria: le donne delle famiglie coloniche dovevano servire jl padrone per tutte le necessità familiari; vigevano obblighi di regalia di og~.i genere: in taluni luoghi un anello di ferro serviva a misurare il volume delle uova in regalia» (N. MAZZONI, Lotte agrarie ecc. cit., pag. 45). 117 Bibiiotecaginobianeo
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