Progra,nmare significa scegliere La seconda considerazione riguarda, più specificamente, il rapporto tra quella cl1e viene definita politica delle riforme e quella che dovrebbe essere la politica di programmazione. Si è detto, più sopra, che la carenza di un impiego in direzione degli investimenti sociali ha avuto un ruolo 110n secondario nel naufragio del Piano, e soprattutto di q_uelle che venivano indicate come finalità generali della programmazione. Ora si ha l'impressione che gettare sul tappeto le richieste, per molti legittime, che sono al fondo della politica di riforme, e soprattutto gettarle non come alternative, ma come aggiuntive a una politica di alti salari e di alti consumi, significhi aggiungere iniziative anti-programmatorie a uno stato di fatto che già di per sé è poco confortante. Sembra quasi, in altri termini, che una lunga lista di rivendicazioni, di querelles, alcune a carattere salariale, e quindi destinate prevalentemente ad alimentare i consumi individuali, altre a carattere sociale, e quindi destinate prevalentemente a soddisfare bisogni collettivi, si siano riversate su un governo che non è in grado di scegliere, e quindi di operare una selezione alla luce della compatibilità tra riforme e rivendicazioni da una parte, coerenza dello sviluppo e finalità generali della programmazione dall'altra. Per cui il timore è che ad essere sacrificate saranno, ancora una volta, queste ultime: e le prime, preoccupanti avvisaglie si cominciano già ad intravedere sul fronte dell'occupazione. La terza ed ultima considerazio11e riguarda i11fine il tipo di scelta complessiva che il Piano dovrà fare, se mai la programmazione riacquisterà in Italia un significato completo operativo. Qualche tempo fa, uomini della sinistra democristiana, nel corso di un Convegno organizzato dalla corrente di « Forze Nuove », sottolinearono come un saggio di sviluppo pari al 5 % fosse insufficiente per un paese come l'Italia; fu proprio l'on. Donat Cattin, anzi, a proporre eh.e il saggio venisse elev~to al 6,5-7%. È innegabile che l'ipotesi prospettata dal Ministro del Lavoro fosse, almeno al momento in cui veniva formulata, non del tutto peregrina. Ma in quali condizioni il nostro sistema economico poteva essere in grado dj consentirsi un più sostenuto tasso di sviluppo, naturalmente tregua sindacale a parte? Poteva riuscirci solo scegliendo la via facile di un ininterrotto aumento dei consumi ~individuali, la scorciatoia degli squilibri che si moltiplicano, la scelta del sacrificio pressoché definitivo dei settori e _deiterritori « deboli », la priorità della spinta tecnologica anche 3- costo di un ulteriore sacrificio dell'occupazione. Il problema si proporrà ancora, è da prevedere, in sede di pia37 Bibliotecaginobianco
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