Nord e Sud - anno XVIII - n. 135 - marzo 1971

Italico Santoro politica degli investimenti. Alla politica dell'occupazione, cioè, non era affidato solo il compito di riassorbire frange sempre più vaste di disoccupati e di sottoccupati, in modo da inserirli nelle attività produttive; era rimessa anche, e giustamente, una vera e propria funzione di riequilibrio nei confronti delle distorsioni settoriali e territoriali: dall'ubicazione dei nuovi posti di lavoro sarebbe dipesa la possibilità di recupero che le regioni meridionali avevano nei confronti di quelle settentrionali; da un diverso rapporto fra addetti all'agricoltura e addetti alle altre attività economiche sarebbe stato determinato un diverso equilibrio fra reddito pro capite del settore primario e reddito pro capite degli altri settori. Nel momento in cui venivano formulate le previsioni del Piano, il traguardo del]a piena occupazione, che sembra,,a prossimo ad essere raggiunto dura11te gli anni del « miracolo », si era allontanato in seguito alle difficoltà congiunturali attraversate in quel periodo dall'economia italiana. I11 due anni, dal 1963 al 1965, la percentuale dei disoccupati sul totale delle forze di lavoro era salita dal 2 (al 3,6 per cento e gli occupati erano diminuiti di circa 600.000 unità; nello stesso tempo, l'agricoltura co11tinuava a sostenere il peso di un n11mero di addetti che ris11ltava eccessivo, e la popolazione femminile continuava a trovare uno sbocco lavorativo in una percentuale decisamente inferiore alla media degli altri paesi industriali. In questa situazione, i problemi che si ponevano ai pianificatori erano complessi, e non potevano certo risolversi nella riduzione del tasso di disoccupazione. I nuovi posti creati nelle attività extraagricole dovevano essere in grado non. so]o di assorbire i disoccupati e le nuove leve di giovani in età lavorativa, ma anche di fronteggiare il continuo _afflusso di manodopera proveniente dalla campagna. Per di più, non poteva essere scontata per sempre una così limitata partecipazione delle donne alle attività produttive; andava presa in considerazione, invece, proprio l'ipotesi opposta, e cioè che un'aliquota crescente della popolazione femminile si dirigesse, sulla scorta di quanto già era avvenuto nelle altre società industriali, verso un maggiore impegno lavorativo. Tenendo conto di tutti questi aspetti, il Piano Pieraccini formulava, in sostanza, due previsioni: gli addetti al settore agricolo sarebbero diminuiti in cinque anni di circa 600.000 unità; le attività extra-agricole, in.vece, avreblJero fornito un milione e 4,00.000 nuovi posti di lavoro. In questo modo. scontando un aumento delle forze di lavoro pari a 600.000 unità, sarebbe stato possibile 26 Bibiiotecaginobianco

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