Programmare significa scegliere quindi come « politica di piano » e non semplicemente come tecnica di gestione dell'economia. In questo senso, il giudizio sulla prima fase della programmazione p11ò scaturire solo da un confronto tra quello che ci si proponeva di fare e quello che si è fatto rispetto alle « finalità generali » del programma, espresse per la prima volta nella Nota Aggiuntiva dj La Malfa e riassunte successivamente nel Piano Pieraccini: ·« superamento degli squilibri settoriali, territoriali e sociali che caratterizzano tuttora lo sviluppo economico italiano, mediante una politica costantemente rivolta alla piena occL1pazione e alla più alta ed uma11a valorizzazione delle forze di lavoro ». Si tratta di verificare in altri termj11i quali siano le condizioni della struttura occupazionale; se e fino a che punto siano migliorate le posizio11i relative del Mezzogiorno nei confro11ti del Centro-Nord e dell'agricoltura nei confronti delle altre attività; se infine il rapporto fra co11sumi pubblici e consumi privati sia tuttora caratterizzato da un deciso squilibrio a favore di questi ultimi. Per dare un giudizio co1nplessivo sulla programn1azione - intesa, appunto, come « politica di piano » - è anche necessario, · però (nel caso in cui si dovesse verificare che gli obiettivi generali sono stati disattesi), affrontare un altro problema, che solo in parte, a- quanto pare, i politici preposti alla « programmazione » si vanno ponendo: stabilire, cioè, se le « finalità generali » non sono state tradotte in termini operativi solo perché alcune previsioni erano poco calibrate, e alcuni strumenti poco adeguati, o piuttosto perché, in ultima a11alisi, è mancata proprio quella politica che doveva rendere credibili le previsioni e funzionali gli strumenti. Co11siderando il problema dal lato della for1nazione delle risorse, il Piano si poneva come obiettivi, accanto ad uno sviluppo del reddito nazionale pari al 5% all'anno, « un aumento dei posti di lavoro nelle attività extra-agricole dell'ordine di 1,4 milioni di unità, di cui circa il 40-45% localizzati nel Mezzogiorno; un aumento del prodotto agricolo a un saggio medio annuo del 2,8-2,9%; l'elevazione del reddito medio agricolo per addetto, in modo da ridurre il divario con il reddito medio degli addetti agli altri settori; uno sviluppo del Mezzogiorno pit1 rapido di quello delle regioni ce11trosettentrionali, in modo da ridurre progressivamente il divario fra i redditi pro capite delle due circoscrizioni ». In un certo senso, la chiave di volta di tutte queste scelte era costituita dalla politica dell'occupazione,· e dalla corrispondente 25 Bibiiotecaginobianco
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