Dino Cofrancesco una rivoluzione mercantile in agricol tura guidata dalle classi rurali do·minanti; la debolezza dei legami istituzionali tra contadini ed élite rurale (possibile effetto• dell'assolutismo regio) ed infine « la perdita da parte del regime dominante dell'appoggio dello strato superiore dei contadini ricchi, perché costoro avevano cominciato a passare a metodi capitalistici di coltivazio,ne e a rendersi indipendenti ·dall'aristocrazia, che cercava di conservare la propria posizione attraverso l'inasprimento degli obblighi tradizionali, come è accaduto nel diciottesimo secolo in Francia» (p. 539). In ogni caso, le rivoluzioni contadine non hanno mai fondato un nuovo ordine, constata Moo,re: tutt'al pi11 hanno razionalizzato i sistemi con cui le classi politiche dominanti hanno estratto il surplus dalle campagne per reimpiegarlo nel processo di industrializzazione. Nelle ultime pagine del saggio, Moore ribadisce alcuni convincimenti maturati nel corso delle sue ricerche sociologiche. Dopo aver liquidato come reazionaria o•gni forma di « catonismo agrario» e do,po aver sottolineato la necessità, per un'economia moderna, di procedere ad un processo radicale e coraggioso di industrializzazione onde sopravvivere in un mondo che non è più composto -- se mai lo è stato - di piccoli proprietari indipendenti, egli riprende il tema della via-- lenza. « Dai giorni di Spartaco attraverso Robespierre fino ad oggi - scrive - l'uso della forza da parte degli op·pressi co,ntro i loro ex padroni è stato l'oggetto di una condanna quasi universale. Ma la repressione quotidiana della società, 124 ~ibliotecagin~ · neo qu.ella ~normale', fa appena discretamente, molto discretamente capolino nella maggior parte dei libri di storia » (p. 570). Come i pensatori reazionari e quelli comunisti, Moore non è affatto propenso a nascondere, sotto il velame delle ideologie ispirate al «co,nfortante mito del gradualismo», che « nei paesi democratici dell'Occidente la violenza ha fatto parte dell'intero processo storico che ha reso possibile successivamente le trasformazioni pacifiche»; ma, d'altra parte, al contrario degli intellettuali delle ali estreme, non è disposto a so•ttacere le differenze che passano tra una società garantista e una società totalitaria. Oggi, egli scrive, « sia il liberalismo occidentale che il comunismo (particolarmente nella versione russa) hanno cominciato a manifestare sintomi di obsolescenza storica. Da dottrine che hanno riportato il successo hanno cominciato a trasformarsi in ideologie che giustificano e nascondono forme di repressione. Che tra le due vi sono· immense differenze, non c'è neppure biso.gno di dirlo. La repressione comunista è stata fino ad ora, ed ancora rimane, soprattutto diretta contro la propria popolazione. La repressione esercitata dalla società liberale, sia nella precedente fase imperialista e di nuovo oggi nella lotta armata contro i movimenti rivoluzioinari delle aree depresse, è stata pesantemente diretta verso l'esterno, contro terzi » (p. 572-3). Occorre, è la conclusione coerente di tutto il discorso, distinguere, di volta in volta, co,n senso di responsabilità storica e sociologica, i casi in oui gli interessi costituiti so1 no così potenti che solo la lotta
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