Nord e Sud - anno XVIII - n. 134 - febbraio 1971

Le niolte vie alla società 1nodern,a Nelle particolari condizioni storiche del Giappone, agrari e industriali finirono per giungere ad un accordo per la difesa dei loro comuni interessi. « All'interno, rileva Moore, qL1esti interessi erano unitj dalla minaccia, che pesava su entrambi, di un movimento popolare vittorioso che li avrebbe 1danneggiati entrambi, sia politicamente che economicamente. All'esterno, li teneva uniti la minaccia di una spartizione del paese tra gli stranieri, o di una ri,petizione del destino •dell'India e della Cina e l'attrattiva della conquista dei mercati e della gloria» (p. 325). La burocrazia, inoltre, conservò pressoch.é intatto il suo potere politico, in quanto « il capitalismo giap·ponese non riuscì mai a liberarsi della dipendenza dallo Stato come acquirente dei s11oi prodotti e protettore dei suoi mercati » (,p. 334). Ancora una volta, balzano evidenti le analogie con la Germania. « La grande industria, scrive Moore, aveva bisogno del fascismo, del patriottismo, del cu1lto dell'imperatore e dell'esercito, proprio come i patrioti e l'esercito avevano bisogno della grande industria per portare avanti il loro progran1ma politico» (p. 339). E sia nel caso del Giappone Nohonshu1gi che in quello delle tedesche S.A., la destra estrema anticapitalista venne sacrificata alle « esigenze del profitto e ·dell'efficienza» (p. 342) e il « fascismo dall'alto» sconfisse il « fascismo dal basso». A conclu·sione della sua indagine, Moore osserva: « L'adattabilità delle istituzioni politiche e sociali ai principi del capitalismo co•nsentì al Giap·po,ne di evitare i costi di un ingresso rivoluzionario sulla scena delBibiiotecaginobianco la sto,ria moderna. E in parte proprio perché sfuggì a questi . orrori, il Giappone soccombette poi al fascismo e alla disfatta » (p. 351). Invece di estendere a tutti i benefici del progresso economico, si preferì, per timore della democrazia sociale, ricorrere a quello che il nostro Spinelli e gli economisti liberali chiamano « settorialismo » e così l'industrializzazione fu conseguita, ma Pearl I-Iarbour e Hiroshima ne furono i risultati. Se la strutt11ra sociale e politica della Cina e del Giappone ha condotto questi due paesi ad un regime totalitario - sia pure di segno opposto - la situazione indiana ha favorito la crcazio,ne di una democrazia non sempre « mistificata». Ma essa, afferma Moore, non solo non ha portato all'industrializzazione, ma non è affatto immune da elevatissimi costi un1ani. In India, non s'è affermata una qualche « frazione dell'élite indigena che si appropriasse del surp.Zus per farne la base dello sviluppo industriale». Al contrario, « il conquistatore straniero, il proprietario terriero e l'usuraio assorbirono e dissiparono questo surplus. D'altra parte la presenza inglese impedì la formazione di una coalizione tipicamente reazionaria, tra gli interessi della élite dei proprietari terrieri e quelli di una borghesia debole, e questo, insieme all'influenza culturale inglese, cont:ribuì a favorire granden1ente l'instaurarsi della democrazia politica » (p. 354). Moore inizia il suo esame dalla conquista del Mogul, che diede origine ad una b,urocrazia agraria sovrapposta ad un insieme eterogeneo di caipi iocali assai diversi tra loro 119

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