Michele Novielli infischia di tutto e di tutti. In certe ore ass11me toni ·esasperati: so,vrasta tutte le voci della città. Verso le sette, le otto serali, portatevi nelJ,-: vie centrali, da via Veneto a via del Babuino, dal corso Vittorio Emanr ·Je a via Nazionale, da Largo Goldoni a Trinità dei Monti: centinaia e centinaia di macchine, t•ra le quali trio·nfa l'utilitaria, i1nmobili (le autoin1mobili, così si dovrebbe ormai chiamarle), quasi inutili e così necessarie; avanzano a passo tartarughesco o sono in attesa davanti ai semafori o restano ferme sui marciapiedi. Ed ecco il coro delle voci 1netalliche: un conducente per primo ha premuto sul pulsante del clackson, e il rumore si scatena come un movimento irresistibile, centinaia di clackson urlano, gridano. Le o·recchie dei pedo11i ne sono stordite, umiliate. Il t11nnel di via Milano, cl1e sbocca in via del Tritone, passando sotto il Quirinale, gremito di macchine in fila e in sosta forzata, trasuda gridi cli clackson anche dalle sue pareti co1 perte di logore mattonelle bianche. Sembra che in quelle ore di punta del traffico, Roma abbia una sola voce: quella dei clackson. Tutti sembrano vittime di t1n'imp·otenza: i pedo11i storditi dal frastuono, gli automobilisti impazienti, i vigili indifesi, i tecnici pazienti. Quella voce è il segno di una rottura o di uno sfogo o di un'inquietudine (la parola tanto attesa)? Riesce, se non a vincerla, almeno a corroimperla, l'atmosfera? Roma, città inq11ieta? A qu·esto punto è facile avvertire un. coro di protesta, di sorp·resa, di scetticismo: assegnare l'inquietudine alla città dell'indifferenza è un atto di illusio 1 ne, quasi di profanazione. Gli scettici dicono: via del Babuino o Margutta non sarà mai una Montmartre romana, né via del Tritone una Pigalle romana. Invano qt1esto 1nondo-bohème e night-club cerca di creare un mito in questa città, non è capace nemmeno di creare u11'atmo1sfera, p,erché c'è l'altra atn1osferà. Roma non subisce ma accoglie tutto e tutti, non si lascia contagiare, 110n permetterà mai che un fenomeno di costume o di rottura si trasformi in mito. Del resto, il mito della « dolce vita», di via Veneto, è rimasto solo un mito di celluloide. Il clergyman, la minigonna, il maxicappotto, in questa città, diventano 1nomenti di una rottura? Un mio amico, meglio u11 « caro nemico» di Roma, che la sa lunga sull' 0:t1nosfera ro1 mana, co,n un sorriso ironico ma intima1nente tollerante, additando-mi le giovani in maxicap 1 p-otto nero-, mi dice: « I preti vesto,no in borghese, per le monache si cerca di liberarle dell'antica, rituale divisa, ed ecco le ragazze in maxicapp·otto nero, io le chiamo le reverende ». Co,n questa ·parola il « caro nemico », forse inco·n·sapevolmente, ha sistemato quel ch·e è una novità della moda, nell'at,nosfera che avvolge tutto e tutti. Da un paio d'am1i, alla quinta Roma, se n'è aggiunta un'altra, la sesta: la Roma co~testataria. Se 11oi la dicessimo protestataria, irrimediabilmente cadrernmo nella trappola di t1n'antica, radicata parola nost;rana, italiana: la protesta ci apprtiene; é da secoli cl1e la borbottiamo tro1 p•po spesso individualmente o la declamian10 collettivamente, sempre sospesa tra la sua legittima esistenza e lo spettacolo e la vocazione. Questa Ra.ma contestataria sembra possedere t11tte le cause, le ragioni, soprattutto i sintomi di un 56 Bibi f otecaginobia.nco
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