Nord e Sud - anno XVII - n. 132 - dicembre 1970

Michele Novielli gli Stati Uniti e, infatti, il contadino, il paes:ano, in termini propri e dialettali, stabiliva una contrapposizione economica tra le due Americhe, chiamando quella del Nord (gli Stati Uniti) l'America «buona» e quella del Sud (particolarmente l'Argentina) semplicemente l'America. Da molti, con la violenza della denuncia orale e scritta e co11 l'aggressiva logica delle cifre, tale persona•ggio è stato trattato, analizzato, descritto: si va dal lirismo tragico all'accusa sociale. È l'uo·mo delle rimesse (una versione, una traduzione di un dramma umano in « provvidenza » economica per lo Stato, e non per il Sud); è l'uomo della tremenda, spesso disperata, avventura quotidiana dell'esistenza. Eppure è lui che compie una delle rotture fo·ndamentali nel Mezzogiorno, e quasi a tutti gli osservatori coinvolti a vederlo sotto il profilo statistico e nel ruolo di vittima « pTovvidenziale » o di un'ingiustizia sociale, il ruolo della rottura da lui operata, sfugge, passa inosservato. Perché questa ro,ttura procede silenziosa, è in·dividuale o familiare o a grup,po, non è spettacolare, è decisamente lenta. Il personaggio, è, questa volta, non un eroe, un Pisacane del gesto sto,rico, ma un semplice, triste, anoni!mo cercatore di pane, un Pisacane quotidiano, un esploratore del bisogno. È lui che per la prima volta in un paese del Sud (questa considerazione la rilevo da una provincia che mi appartiene, quella barese, e da un'esperienza diretta: sono figlio -di un emigrante nell'America « buona »), lui, dicevo, che rompe quel che si può definire il destino della proprietà (in questo caso la proprietà contad~na che quaggiù rappresentava la ricchezza e il potere che a sua volta serviva il Potere, rappresentava la sicurezza e la sfida e la forza, era come un'eco dell'eternità immutabile, dava il senso soprattutto di una cosa posseduta in un mondo, in un universo dove la maggioranza possedeva solo le braccia per la fatica e i miti, la fantasia per esorcizzare la realtà, per lenirla). Quando l'emigra1:1te, dopo anni (tanti) ·di un'esperienza colma, carica di sudori e di estreme umiliazioni, ritornava al suo paese, il suo gruzzolo, che dal dollaro alla lira italiana si traduceva in un piccolo « miracolo» di capitale economico, lo investiva in una cosa posseduta: o la casa o la terra, un breve pezzo, rettangolo o qua-drato di zolle e di alberi, un fazzoletto di terra che almeno serviva questa volta ad assicurare meglio i sudori della sua fatica, un « aratro» di terra (la misura agraria del ·paese). L'emigrante ritornato non diventava un altro ricco che ereditava o il nuovo che sostituiva un altro, ma il nuovo proprietario, che possedeva una casa o una terra, cose concrete, pratiche sue: era il paradossale self made man del mondo meridionale. Il possesso rompeva la tradizione secolare della proprietà ereditata di padre in figlio e nipote o parente, della proprietà come casta, privilegio immutabile. Era appena 86 Bibliotecag inobi~nco

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