• Alfredo Tes'ti dell't1nità nazionale, la prima troverebbe un suo fondamento obiettivo nelle esigenze di sviluppo delle singole regioni settentrionali (e sarebbe q11indi egoistica, ma a suo modo lungimirante), la seconcla invece non sarebbe altro che l'espressione dell'incapacità e della mancanza di \70lontà della classe politica meridionale di accettare, introdurre ed agevolare dei processi di trasformazione sociale ed economica a tutti i livelli (e sarebbe quindi dissennatamente autolesionista). Esiste dunque, e minaccia di prendere forza, un « regionalismo » che oltre ad eludere i grandi problemi dell'unificazione economica del paese è anche - nel Mezzogiorno - un nemico volta a volta subdolo o scoperto del processo di rinnovamento della stessa società meridionale. Non si tratta allora di n1isurare il grado di « regionalismo » delle singole posizioni politiche, poiché la discriminante passa tra çhi vede nelle Regioni uno strumento, sia pure non risolutivo ma comunque importante, per conferire maggiore incisività e aderenza alle diverse situazioni locali della politica di piano nazionale (regionalmente artic9lata) e chi invece vede nelle Regioni una solida trincea e un nuovo mezzo di resistenza a difesa dei divari di sviluppo economico e di crescita sociale oggi esistenti nel paese. 4. È evidente che a questo punto il di~corso esce dalle fumisterie pseudo-ideologiche e dalla retorica spicciola per acquistare contorni più definiti e contenuti più precisi. E due cose diviene subito- possibile decifrare. Primo, che contrariamente a quanto si sente di continuo ripetere le Regioni non hanno « competenza in materia di program1nazione », per il semplice fatto che la «programmazione» non è una « materia » come può esserlo l'agricoltura o il turismo o l'istruzione. La « programmazione » è invece_ un modo per impostare e risolvere certi problemi in certe « materie », facendo uso di deter- · minate tecniche. Le Regioni quindi, se lo vorranno, potranno programmare (e ci si augura non solo sulla carta) le loro attività: ma è evidente che saranno le competenze settoriali di cui le Regioni sono titolari, o il cui esercizio sarà ad esse delegato dallo Stato, a definire i contenuti dei piani region~li. Cade quindi il sofisma secondo cui, avendo _le Regioni « competenza in materia di programmazione », sarebbe necessario riconoscere ad esse la titolarità di tutte le competenze settoriali necessarie alla impostazione ed esecuzione di piani globali. Naturalmente nessuno più di noi si augura ed è 24
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