Dino Cofrancesco Molto opportunamente Wei1 inserisce, a questo pro,posito, un parallelo tra Kant e Plato·ne, che si p,resta assai bene a chiarire il significato più profon:do della sua interpretazio 1 ne e, n,ello stesso tempo, ciò che, a suo avviso, costituisce il motivo della perenne attualità della filosofi.a criticista. « Per Platone, egli spiega, sono il sapere e la visione ( th,eorìa) della struttura ' sensata ', dell'Idea del Bene esistente (sovra-esistente) che guidano l'uomo: per Kant, polo, direzion-e e determinazione, si trovano tutti e tre non nella natura, nel cosmo, ma nell'uomo come essere agente. Sono io che colgo·, nella conversione alla libertà razionale, nell'intuizione del mio fondamento, la possibilità di dare un sen1so alla mia esistenza e, quindi, a quella del mondo. Per l'uomo p,uramente teoretico, il mondo non è che un vano spettacolo, il gioco insensato di un creatore affatto abile, e rimarrebbe tale se non vi si introducesse la questione del valore (termine kantiano) e del 'senso' (termine che preferiamo, consid·erando la ' sociologizzazione ' e la ' storicizzazione ' del primo, do,vute entrambe ail pensiero post-kantiano), se io no1 n realizzassi nei miei atti quella libertà che sola è valore ... e che, in quanto ragione, po·ne la questione del ' senso '. Il mon·do possiede sen,so e valore nella misura e soltanto nella misura in cui l'uomo si pone, nella sua azione e per sua scelta, come ' senso'; rendendo sensata la sua vita» (pagg. 91-2). Ancora una volta, sono· proprio i limiti dell'·uomo a rivelarsi decisivi per la fon,dazione della libertà. « L'essere agente è essenzialm,ente limitato: non limitato, onnisciente, onnipotente, egli non avrebbe né ragione né motivo di agire, di soegliere, di prendere ,decisioni.Jsituazioni che presuppongono l'esitazione dinanzi a ciò che non è mai totalmente conosciuto, ancor meno totalmente dominato» (pag. 96). Ancor più esplicitamente, è l'i-gnoranza umana al livello dei fatti che « sul piano della pratica rende l'uomo padrone del ' senso' ... Noi siamo i padroni e le 'fonti' del senso giacché non siamo paproni dei fatti; se noi li dominassimo 1, saremmo. Dio e non avremmo alcun senso da scoprire o· da realizzare » (p·ag. 97). Se il « sen,so » fosse un dato di fatto, l'esistenza umana non avrebbe più alcun senso: il senso, infatti, è ciò ch,e deve essere saputo come tale che si realizza, in virtù della prassi e de1la scelta umane, nelle cose. Pertanto, ribadisce Weil sempre in polemica con Hegel e con i neo-kantiani, nessun « raddoppiamento» del mondo, in piano della realtà come causalità e piane/ della idealità come libertà; corrisponde all'intimo significato della filosofia kantiana. Questa, come s'è detto, è la filosofia del primato della ragion pratica e pèrtanto il regno dei fini non è introdotto surrettiziamente accanto al cosmo meccanico dei fisici, né è verità perenne da contemplare a guisa dell'eidos platonico. Il piano, della libertà è un compito, non un dato naturale i.ii cui ci tro,viaino immersi ·da sempre e di cui non ci resta che prendere presuntuosamente atto. L'uomo kantiano, sintetizza l'Autore, « è effettivamente lo scopo, il senso del mondo e ne è il padrone: un mondo senza esiseri morali - e l'uomo ha la possibilità di essere immorale - sarebbe vano e assurdo » (pag. 99). Non resta che da chiarire le ragioni per cui, parlando di fini, di struttura 112 Bibiiotecaginobia.nco
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