Nord e Sud - anno XVII - n. 130 - ottobre 1970

I Rivista mensile diretta da Francesco Compagna _Francesco Compagna, ''Il,, problema: 7)ecchi e nuovi termirii - Enzo Vellecco, La svolta incipier1te - Giulio Picciotti, Il secondo partito cattolico - .. Ugo Leone, Sorella fogna - · Antonio Palermo, Jmbriani protestatario e scritti di Sergio Antonucci, Paolo Baratta, Saivatore Cafiero, Patrizia Capraro, Marisa Càssola, Dino Cofrancesco, Guido Compagna, Girolamo Cotroneo, Antonino de Arcangelis, Franco Pilloton, Lucio Rosaia . .. 'ANNO XVII - NUOVA SERIE - OTTOBRE 1970 ·_· N. 130 (191) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI ,. ,, . Bib ·. ·e·aginobiç3nco -

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.. NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XVII - OTTOBRE 1970 - N. 130 (191) • DIREZIONE E REDAZIONE: Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Cardt1cci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346 Una copia L. 400 - Estero L. 700 - Abbonan1enti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, sen1estrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Fascicolo arretrato L. 800 - Annata arretrata L. 8.000 - Effettuare· i versamenti sul C.C.P. 6.1958.5 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoh B·biiotecaginobianco

SOMMARIO Francesco Compagna Enzo Vellecco· Giulio Picciotti Editoriale [3] « Il » problema: veccl1i e nuovi dati [7] La svolta incipiente [24] Il secondo partito cattolico [34] Le idee del tempo Girolamo• Co·troneo Le scelte culturali - Provincialis1no e non [52] Giornale a più voci Guido Compagna La continitità legislativa [58] Antonino de Arcangelis Quando, dove, come [63] Patrizia Capraro Gli analfabeti di ritorno [66] Sergio Antonucci Fantaturisn10 all'italiana [ 68] Argomenti Ugo Leone Sorella fogna [74] Pao1 lo Baratta Salvatore Cafiero Franco Pilloton Documenti Caratteri dello sviluppo industriale del Mezzogiorno [90] Aree metropolitane e Mezzogiorno [96] L'offerta di lavoro meridionale nel quindicennio 1971-85 [ 102] Recensioni Dino Cofrancesco E rie Weil, interprete di Kant [ 109] Marisa Càssola Arte ed eresia [114] Lucio· Rosaia Il piano sanitario lombardo [ 118] Letteratura Antonio Palermo Imbriani protestatario [121] Bibliotec ginobianco

.. Editoriale No·n fosse stato per il discorso del Presidente della Repu.bblica alle Camere riunite, sarenzmo rimasti mortificati dell'ato11ia con la quale l'Italia conte111poranea ha celebrato il centenario del 20 settembre 1870. È stato il Presidente della Repubblica che, con il suo discorso, intessuto di citazioni dei grandi storici laici, ha saputo ricordare d·egnamente come e perché il 20 settembre del 1870 ha rappresentato il momento conclusivo e culminante del movimento risorgimentale, cui dobbiamo pur sempre qitel molto o quel poco che tuttora sopravvive di solidarietà, di continuità e soprattutto di « identità 11-azionale ». La celebrazione di questo centenario avrebbe a siLa volta potuto rappresentare l'occasione di un « esame di coscienza», con1e ha scritto Giovanni Spadolini; e l'occasione per un tentativo di recuperò del molto o del poco che in questi anni travagliati abbiamo perduto per quanto riguarda la nostra « identità nazionale ». Ma, all'indomani della celebrazione, ci siamo dovuti domandare come essa sarebbe trascorsa se al vertice dello Stato non ci fosse stato iLn presidente laico capace di interpretare la continuità culturale ed etico-politica dell'Italia contemporanea con l'Italia risorgimentale. Né democristiani, né comunisti riescono a rièonoscersi in questa contiriuità; i socialisti solo a tratti ed in parte. E abbiamo avuto sì « un principio di adesione della Santa Sede alle celebrazioni del centenario », il messaggio di Paolo VI a Saragat: ma quanto « complesso e sfumato », per dirla con Spadolini, e « non senza esitazioni ed incertezze anche tormentose, magari dopo polemiche intempestive ed inopportune ». Diciamo pure che il messaggio del papa era ambiguo, forse addirittura dettato da malcelata stizza e comunque molto arretrato, per così dire, rispetto alle parole del cardinale Montini proniLnciate in Campidoglio alcuni anni or sono ed opportunamente ricordate da Saragat nel suo discorso alle. Camere riunite. E diciamo altresì che le preghiere indette dalla commissione episcopale per la ricorrenza di Roma capitale non ci sono sembrate avere il timbro di una volontà impegnata a rendere compatibili - nella separazione, e nel riconoscimento della « provvidenzialità » del 20 settembre - le aspirazioni postconciliari della Chiesa con le tradizioni risorgimentali e la vocazione europea delritalia moderna. Quanto ai comunisti, essi sono sembrati dominati dalla preoccupazione di convergere con i cattolici « sociali » 3 s·:bliotecaginobianco

Editoriale (non ci sono più « cattolici liberali ») nella denigrazione dell'Italia. risor- . gimentale come Italia « borghese » e « capitalista ». Ma soprattutto merita di essere rilevato che di m_olto si è indebolito il senso della storia patria ed il culto delle sue· pagine non ignobili se è vero che, salvo lo-devolissime eccezioni, gli scritti di occasione che si sono letti sui giornali nella vigilia del centenario non hanno avuto per oggetto il travaglio di Cavour e la passione di Mazzini, l'epopea déi garibaldini, il sacrificio dei Cairoli, la commozio•ne di De Sanctis che in occasione dell'entrata di Cadorna a Roma inneggia alla gloria di Machiavelli, il senso della misura con il quale i Lanza, i Sella, i Visconti Venosta affrontarono la « questione romana »: non hanno avuto per oggetto tutto qitesto che ha stretta attinenza co11 la sola tradizione da citi l'Italia possa trarre intero vanto ( la tradizione etico-p·olitica del Risorgimento, della « minoranza lirica e tragica » che riuscì a vivere quella che « parve una favola e fu un miracolo »), ma le imprese della speculazione edilizia cui si dedicarono a Roma in 1nolti nei decenni seguiti al 20 settembre del 1870 e cui si dedicano ancora oggi in molti di parte laica e di parte clericale: imprese che pure costituiscono Llna pagina di storia patria, ignobile, ma che con lo spirito che ha portato l'Italia a Roma hanno certo meno attinenza di quanta non ne abbiano avuta la carica ideologica del Partito d'azione ed il rigore politico della Destra storica. Eppitre è soprattutto nel culto della memoria risorgimentale che il nostro paese può recuperare quel sentimento dell'« identità nazionale » che prima è degenerato i11 un odioso nazionalismo e poi si è sbiadito sulla misura in cui non è avvertito e non è rièonosciuto dalle correnti che ora quarititativamente prevalgono nella vita cultitrale e politica, si tratti dei cattolici « sociali », dei marxisti, dei neopositivisti, o addirittura d'ei populisti cattolico-n1arxisti. Sono le occasioni come queste - i centenari, per esempio, le celebrazioni degli anniversari che ricordano attraverso quali grandi ed impegnative difficoltà nel passato si è costruito il presente - che consentono ad un paese di valutare con qitali forze si accinge ad affrontare il futuro. Ebbene, l'occasione del centenario di Roma italiana ci ha consentito di. valutare che molto grave è la crisi etico-politica che investe il nostro paese: molto grave percl1é si tratta di una crisi che pilò portare l'Italia allo smarrimento, appu,nto, della sua «identità 11azionale ». Ma qz,tanti sono nella classe dirigente quelli che si rendono conto di questo pericolo? Nell'editoriale del numero scorso di « Nord e Si1d » citavamo un articolo di Luciano Cavalli sul « Mulino », u11 articolo che sollevava il problema dell'« identità nazionale » e delle residue capacità 4 Bibliotecaginobianco

.. Editoriale di una classe politica come quella espressa oggi d'alla DC di sentire il problema dell'« identità nazionale » - e quindi, più in particolare, della riconciliazione con il Risorgin1ento - come lo avevano sentito riella Resistenza e dopo la Resistenza i cattolici-liberali che con De Gasperi volevano « allargare il Tevere». La nostra delusione nei confronti degli atteggian1enti che sono via via venute assu1nendo le sinistre den1ocristiane consiste proprio nella sensazione che queste sinistre sono più « sociali », ma assai me110 liberali e laiche, di quanto non lo fossero i degasperiani: sono più lapiriane che degasperiane; più sintonizzate con gli orientan1enti della Chiesa verso il Quarto stato ed il Terzo mondo, che non co·n la vocazione ettropeista della De,nocrazia cristiana del dopoguerra; più allineate con certe interpretaziorzi classiste della storia patria che tese a consolidare la riconciliazione dei cattolici con il Risorgimento. Del resto, gli orientamenti della Chiesa suscitano oggi le più serie preocci,p·azioni in chi vuole un « Tevere più largo », in chi collega la tradizione risorgimentale alla vocazione europeista dell'Italia moderna, in chi teme che l'Italia invece di valicare le Alpi per portarsi irt Europa possa scivolare nel Mediterraneo e qiti ritrovare tutti i suoi antichi mali ed un'inferiorità etico-politica che lo spirito risorgin1entale era riuscito a correggere. Lu.ciano Cavalli ha centrato questa preoccupazione e pitre Piero Piovani in un suo saggio, scritto appit11to1 in occasione del centenario di Porta Pia, dove si definisce la Populorum progressio come « il docitmento che meglio dimostra la libertà di nian.ovra 1nantenuta dalla Chiesa: nel rivolgersi soprattutto al Quarto stato ed al Terzo mondo può, in nome di una sua continuità di principi, altacciarsi a proteste antiche e rinnovate, può ritrovare nella condanna del liberalismo e del liberismo accenti ricollegantisi al Sillabo, può presentarsi al Sudamerica, all'Asia, e specialmente all'Africa, in istato di asserita innocenza rispetto a quell'Eitropa otto-novecentesca cu.i crede di poter agevoln1ente volgere le spalle, abbandonandola al suo declino ». È sit questo terreno paludoso che acquista credito la formula poleniica con la quale i laici hanno manifestato negli itltimi te,npi le loro preoccupazioni per una collusione clerico-comunista: la « Repubblica conciliare ». Certo una collusione del genere avrebbe come sue niotivazioni di fondo quelle suggerite da interessi estranei a qitelli del paese che gli uomi11i del 20 settembre 1870 sono riusciti ad unificare e che i loro successori sono riusciti a far crescere, sia pure con tante malf ormàzioni; le quali tuttavia devono essere ci1,rate e possono essere eliminate in un ulteriore processo di crescita e sempre in simbiosi con l'Europa. Per i comunisti, una contropartita neutralistica p·otrebbe, se lasciata chiaramente· intravedere, non essere rifiutabile. E per i cattolici? Fino 5 B~bl·iotecaginobianco

Editoriale a che punto sono sensibili alle suggestioni che vengon,o di là dal Tevere e cl1e potrebbero portare alla « conclusione che aprire in qitalche n1odo ai con-zunisti in Italia sia garanzia da dare, per _assicurarsi gli opp,ortuni sviltlppi del cattolicesimo, tanto nel mondo comunista quanto e forse più nel Terzo mondo »? Se questi sono i prevedibili contenuti della « Repubblica conciliare », è ben comprensibile che le correnti storiche della democrazia italiana, i partiti laici ed anche i cattolici riconciliati con il Risorgimento, abbiano reagito co·n fermezza e dimorino vigilanti nei confronti di una prospettiva che coinvolgerebbe in una fine senza rimedio l'Italia « n1oderna » del 20 settembre e l'Italia europea dell'antifascismo. Quando certi amici delle sinistre democristiane si stupiscono del deterioramento sttbìto negli ultimi anni dai nostri rapporti politici con loro, cl1e sono stati rapporti di collaborazione intensa per la svolta di centro-sinistra degli anni '60; e si stupiscono altresì della 11ostra riservatezza qtlando essi impostano qitelle cl1e chianzano nuove strategie di movimento, sappiano che queste, qui sintetizzate, sono state le nostre riflessioni in. occasione del' centenario di Porta Pia. Ma essi hanno ritenuto che questo 20 setten1bre sia una data che induce a rifiettere sul futuro del paese, o hanno pensato cl1e sia soltanto u,n giorno buono per seppellire frettolosamente ttn passato che è del paese, ma che n.on sentono come loro? - 6 Bibiiotecaginobia·nco

«Il» vecchi e problema: • • • nuovi term1n1 di Francesco Compagna N~l 964::!_latesi dei meridionalisti, che si dovessero predisporre disincentivi per scoraggiare localizzazioni industriali di rilevanti dimensioni nelle aree metropolitane di Milano e di Torino (del tipo di quelli che erano stati a suo tempo predisposti per le aree metropolitane di Londra e di Parigi), era stata accolta da Giolitti, mi-r• nistro del Bilancio: il piano di s,,iluppo dell'economia italiana che si stava mettendo a punto, consule Giolitti, prevedeva, infatti, adeguate misure per contenere l'aumento dei posti di lavoro nelle attività extra-agricole là do,,e si erano già cominciati a manifestare sintomi preoccupanti di congestione demografica, urbanistica, industriale. Ma Milano, soprattutto Mila110, insorse; e fu proprio Bassetti, allora presidente del CRPE lombardo; ad interpretare - --.. più vigorosamente la preoccupazione milanese che, per accelerare lo svilt1ppo del Sud, si volesse frenare lo sviluppo del Nord. Perciò, passato il Ministero del Bilancio da Giolitti a Pieraccini, il nuovo ministro lasciò intendere che il piano di sviluppo avrebbe lasciato da parte i disincentivi; che di questi disince11tivi non si sarebbe più parlato; che si voleva sì accelerare lo sviluppo del Sud, ma non frenare quello del Nord: i milanesi furono tranquillizzati, Bassetti acquistò la benemerenza di aver fatto rientrare la minaccia dei disincentivi, i meridionalisti dovettero disarmare. Ora una nuova ondata migratoria investe Milano e Bassetti r in persona afferma che questa ondata dev'essere « arrestata ». Dal canto suo, il Sindaco Aniasi - accertato che vi sono circa ottomila richieste di manodopera che sono state presentate all'ufficio di collocamento e che quindi altrettante sono presumibilmente le richieste di manodopera che si ritiene, da parte delle imprese, di poter soddisfare con sistemi diretti di reclutamento, senza passare per l'ufficio di collocamento, onde, calcolando i famigliari dei lavoratori immigrati, si può valutare che Milano dovrà accogliere circa 60-65.000 nuovi abitanti - ha dichiarato che « l\Ailano non ce la fa più» («l'Astrolabio»); che «Milano soffoca» («Panorama»); che, « se non blocchiamo l'immigrazione, ci sveglieremo una mattina in 7 B~bliotecaginobianco •

Francesco Compagna u11 accampamento »; e che comunque· i bilanci delle ammi11istrazioni comunali di Mila110 e dintor11i sono già, allo stato attuale delle cose, gra,,emente compromessi, in quanto sottoposti alla pressione di sempre crescenti esigenze per sistemare quanti so110 stivati nei ricoveri notturni, per assicurare un insediamento civile a quanti sono da tempo arrivati, per colmare l'in1pressionante fabbisogno di case, scuole, trasporti, determinato dalle precedenti ondate migratorie. Da un lato, du11que, gli amministratori (Bassetti, A11iasi, ecc.), e con loro i sindacati operai; dall'altro lato, i rapprese11tanti dell'Assolombarda, i quali affermano: 1) che soltanto 400 sono gli immigrati giunti fi11ora a Milano e che gli altri arrivi saranno scaglionati nel tempo; 2) che per contenere i previsti arrivi si potranno assumere i disoccupati del settore edilizio, dei quali si prevede che aumenteranno fino alla cifra di 10-15 mila nei prossimi mesi; 3) che in ogni caso la necessità di nuove assunzioni è una conseguenza diretta dei ridotti orari di lavoro e della nuova regolame11tazione degli « straordinari >~, una conseguenza diretta dei nuovi co11tratti voluti dai sindacati; 4) che, qualora non si volesse procedere alle nuove assunzioni, non si potrebbero aumentare, e nemmeno mantenere, gli att11ali, già non soddisfacenti, livelli di produttività; 5) che in ogni caso è compito dello Stato e degli enti locali di provvedere per le esigenze sociali create dall'immigrazione. Tutti questi argomenti possono essere discussi e confutati con altri argon1enti; e infatti, amministratori e sindacati li hanno discussi e confutati. Intanto, si può dire che Io scaglionamento nel tempo degli arrivi non modifica affatto la logica onde il fenomeno patologico di urbanesimo che investe l'area metropolitana di Milano segue una tendenza all'aggravamento: co11 lo scaglionamento degli arrivi si può forse rallentare, ma no11 certo modificare questa tendenza. Quanto all'argomento dei posti di lavoro industriale che possono essere coperti con l'assunzione dei disoccupati dell'edilizia, si tratta di un argomento cui ricorrono anche gli amministratori ed i sindacalisti, ma per accusare gli industriali di no11 voler assumere questi disoccupati perché la loro età media è sui 40 a11ni, perché si tratta di « vecchi », mentre, fra gli immigrati, si possono scegliere i « giovani » (ma è vero o non è vero che oggi le imprese preferiscono assumere i « vecchi », co11 farr1iglia a carico, anziché i « giovani » in1migrati che sono risultati i più corrivi fra gli operai a promuovere gli « scioperi selvaggi » ?). Comunque sia, anche a questo proposito si può dire che la tendenza all'aggrava8 Bibiiotecaginobianco "

« Il » problenza: vecchi e nuovi tern1ini mento dell'urba11esimo patologico non sarebbe n1odifìcata qualora, invece di far immigrare 10-15 mila meridionali, si colmasse il fabbisog110 di manodopera industriale attingendo alla riserva dei disoccupati dell'edilizia: giustamente ha osservato Giorgio M.anzini su «l'Astrolabio» che prima o poi, e possibilmente più prima che poi, «il settore edile ripren.derà lo slancio». E allora, «dove se non nel Sud, si andrà a reclutare la manodopera occorrente» per la ripresa edilizia? È vero poi che in un certo senso la 11ecessità di nuove assunzioni è una conseguenza dei nuovi contratti, ma è vero anch.e e soprattutto che è una conseguenza dell'osti11azione con la quale si son-o volute ripetere le tradizionali localizzazioni dell'attività industriale; una conseguenza del fatto cl1e non si è volt1to far tesoro della lezione che poteva essere ricavata da altre esperienze di congestione verificatesi in altre regioni europee; una conseguenza della forza d'i11erzia che ha trattenuto gli i11dustriali qt1ando sono stati sollecitati a « scendere ì> nel Sud e della semplicistica ed imprevidente reazione che ha spi11to gli am1ninistratori ad opporsi quando è stata suggerita una nuo,,a discipli11a delle localizzazioni industriali. È sintomatico perciò che oggi il discorso sulla nuova discipli11a delle localizzazioni industriali, e quindi sui disince11tivi, sia stato riproposto, sia pure indirettamente, da coloro che si opposero a questo discorso nel 1964. Bassetti, i11fatti, 11elsuo discorso programmatico al Consiglio regionale della Lombardia, ha proposto cl1e la Regione co11tratti con le imprese « tre strade: a) il decentramento al Sud; b) le condizioni per una permanenza in Lon1bardia dei processi di sviluppo; e) un contributo sul costo di 6 milioni procapite per gli addetti che, a contrattazione conclusa, fosse ancora indispensabile far imn1igrare » ( « Il Corriere della Sera » del 24 settembre). Se abbiamo ben compreso, Bassetti suggerisce: o una « delocalizzazione » al Sud degli stabilime11ti lombardi per i quali si prevede che dovra11no essere reclutati ancora rileva11ti cor1ti11genti di manodopera; o una congrua pe11alizzazione, per ogni nuova assunzione di immigrati, delle. imprese titolari di stabilime11ti cl1e non possono essere « delocalizzati » al Sud. Le i1nprese insomma potrebbero scegliere tra la possibilità di avvalersi degli incenti,,i predisposti per insediamenti industriali nel Sud e la necessità di subire il peso dei disincentivi, intesi come contribl1ti alle spese per l'insediamento degli immigrati da esse richian1ati (il 10% di 6 milioni, secondo quanto ha. riferito « Il· Mondo » ). Da un ·1ato, dunque, non si tratta più soltanto di creare nel •. 9 · Bibliotecaginobianco

Francesco Compagna Sud i 11uovi stabilimenti, ma anche di trasferire nel Sud linee di -produzione avviate nel Nord, quando questo trasferimento risulti tecnicamente possibile ed econon1icamente non sv~ntaggioso; e dall'altro lato, si tratta di rendere tangibilmente onerosa per le imprese la loro ostinazione a ripetere le tradizionali localizzazioni industriali, a creare nuovi posti di lavoro in zone di consolidata piena occupazione, incuranti dei costi sociali di insediamento degli immigrati che gravano sui comuni e che, nella impossibilità per questi di fronteggiarli, si devo110 poi addossare allo Stato. Si tratta comunque di far intendere chiaramente ai rappresentanti dell'Assolombarda che assolutamente non può essere accettato l'ultimo ed il principale degli argomenti che essi hanno contrapposto alle preoccupazioni degli amministratori e dei sindacalisti: non sono affatto gli enti locali e nemmeno lo Stato che devono essere chiamati a provvedere per le esigenze sociali create dall'immigrazione; perché, se così fosse ancora, noi non solo non disincentiveremn10, com'è necessario (e ora ne sembra convinto lo stesso Bassetti), la saturata area milanese, ma di fatto la ince11tiveremmo, neutralizzando così gli incentivi predisposti per il Mezzogiorno e creando una situazione a Milano e dintorni ancora più irrimediabile di quanto già non lo sia diventata. I disincentivi, d.unque. Ma sarebbero efficaci, questi disince11tivi, nelle forme proposte da Bassetti? P·are che la Pirelli e l'Alfa Romeo, a quanto riferisce « Il Mondo », avrebbero già dichiarato di essere disposte a pagare le 600.000 lire per ogni immigrato chiamato a ricoprire un posto di lavoro nei lorò stabilimenti; ma chi pagherà gli altri 5 milioni e 400.000 lire, posto che l'insediamento di un immigrato rappresenta un costo di circa 6 milioni? Gli enti locali? Non possono. Lo Stato? Al disincentivo di 600.000 lire corrisponderebbe un incentivo di fatto molto più alto. Per ora, comu11que, è importante che questi problemi siano stati riproposti, perché intorno alla loro soluzione si è riaperta una discussione con mutati atteggiamenti, rispetto al 1964, degli amministratorì del1' area milanese. E a noi sembra che ancora più importante sia il · fatto che Giolitti ne abbia approfittato per un rilancio delle sue proposte del 1964: si legge, infatti, nella relazione previsionale e programmatica per il 1971, approvata dal Consiglio dei Ministri negli ultimi giorni di settembre, che si potrebbe ricorrere « all'introduzione di misure amministrative di autorizzazione alla localizzazione degli impianti di rilevanti dimensioni da adottarsi nelle zone congestionate del paese ». 10 Bibliotecaginobianco

~ « Il » proble1na: vecchi e nuovi termini Sono i « certificati di idoneità all'insediamento » che da tanti anni costituiscono in Gran Bretagna il principale strumento della politica di localizzazione delle industrie. Ed erroneamente, o tendenziosamente, si è detto, nel riferire quanto si legge, a _questo proposito, nella relazione previsionale e programmatica, che si pensa di « ricorrere ad un sistema simile a quello della legge sui nuovi impianti industriali che venne abolita nei primi anni di questo dopoguerra » (così Angelo Conigliaro sul « Corriere della Sera » del 1° ottobre). ·Quella legge fu voluta dal fascismo per tutelare privilegi corporativi, mentre il sistema delle « misure di tipo inglese » cui si vorrebbe ora ricorrere, e cui non fu possibile ricorrere nel '64, ha la finalità di contribuire alla correzione degli squilibri regionali e comunque di evitare che la conce11trazione delle industrie dia luogo alla congestione delle città. A questo proposito, vale la IJena di ricordare q.uanto scrivevamo nell'agosto del 1964 per dimostrare cl1e la proposta giolittiana, di ricorrere ad un sistema di adeguati disincentivi per le aree metropolitane del Nord investite da un patologico processo di urbanesimo, non era affatto 11na proposta « eversiva » come poteva sembrare ad ambienti della destra economica, né dissennata come poteva sembrare allora agli amministratori lombardi e torinesi. Il ricorso ai disincentivi, e in particolare ai «_çertificati di idoneità \ all'insediamento », era stato suggerito da alcuni esperti italiani di cose econonrtche ( araceno, tl compianto Moli.nari, Turco, Ventri- ~ glia ed altri) non per « contestare il sistema », e disintegrarlo, ma proprio per evitare che il « sistema » della nostra industrializzazione finisse con l'essere paralizzato per le contraddizioni da esso stesso suscitate ed esasperate. Del resto, a11che un rapporto della Commissione Economica Europea aveva nel 1955 suggerito di integrare, ai fini della politica di sviluppo regionale, l'esperienza di tipo italiano (la politica meridionalista del 1950) con l'esperienza « di tipo inglese»: con provvedimenti, cioè, che in Gran Bretagna erano stati adottati fio dal 1931 (e poi via via fperfezionati) e che, mutatis mutandis, sono stati imitati dalla Francia. Si obiettava, d'altra parte, che provvedimenti del genere, di nuova disciplina delle localizzazioni industriali, orientati ai fini di una più equilibrata distribuzione regionale dell'industrializzazione, non fossero convenienti per una realtà come quella italiana e che, anzi, se applicati alle nostre aree metropolitane, sarebbero riusciti controproducenti. Fu facile, però, confutare questa obiezione, affermando che la realtà italiana cominciava a somigli~re notevolmente a quella che in Gran 11 Bibiioteca·ginobianco

Francesco Compagna Bretagna prima ed in Francia poi aveva dato origine ad u11a disciplina delle localizzazioni industriali; e noi scrivemmo allora (sul « Mondo » del 1 ° settembre 1964) che, se ançhe « la congestione ai vertici del triangolo industriale dell'Italia nordoccidentale non è quantitativamente paragonabile a quella della regione di Londra e della regione di Parigi, da un punto di vista qualitativo il paragone si può e si deve fare: ne ris11lta che tutti i fenome11i caratteristici della congestione sono ormai operanti e che, se non si predispongono tempestivamente freni adegua.ti, avremo in un prossimo domani una situazione che anche dal punto di vista quantitativo sarà paragonabile a quella che ha costretto gli inglesi ed i francesi a ricorrere per Londra e per Parigi a misure che vietano nuove localizzazioni di gra11di impianti industriali ». Meglio prevenire fin da oggi, scriven1.mo; meglio intervenire prima che i mali abbiano a diventare troppo gravi. Volevamo dire, insomma, che la situazione italiana era me110 grave di quella che aveva costretto inglesi e francesi a predisporre i. disincentivi per Londra e per Parigi, ma solo perché eravamo ancora in tempo per evitare che a Milano ed a Torino la congestione diventasse altrettanto grave di quella riscontrabile a Londra ed a Parigi. Questo scrivevamo. allora, nel 1964; ed oggi non diciamo che a l\Ailano ed a T'orino la congestione è diventata altrettanto grave di quella che è a Lo11dra ed a Parigi, ma possiamo ben dire che è diventata assai più grave di quanto non lo fosse nel 1964. Più che mai, quindi, risulta che avevano ragione quegli studiosi che da tempo hanno insistito sulla necessità di « guid·are » le decisioni relative alla localizzazione di nuovi impianti industriali: di guidarle con indicazioni politiche direttamente o almeno indirettamente vincolanti. E risulta, altresì, che avevano ragione quegli uomini politici e quegli esperti della programmazione economica che si erano resi conto del valore cl1e potevano assumere i disincentivi come strumento per correggere la « distorsione ottica » ( così ebbe a definirla Augusto Graziani) in base alla quale le imprese private considera110 certe localizzazioni preferibili rispetto a·d altre, solo perché i costi di congestione sono accollabili alle fi11anze pubbliche (e le localizzazioni che esse preferiscono sono appunto quelle che - come la situazione attuale di Milano, e no11 di Milano soltanto, eloquentemente dimostra - riescono poi le più dannose dal punto di vista degli interessi generali del paese). Ora che a Milano si sono diffuse le preoccupazioni che erano le nostre fin dagli inizi degli anni '60; ora che anche Bassetti sugge12 Bibliotec-aginobianco

« Il » problema: vecchi e nuovi termini risce di ricorrere a misure di scoraggiamento delle localizzazioni industriali in zone di consolidata piena occupazione; ora cl1e le nostre previsioni sull'aggravamento dei fenomeni di congestione demografica, urbanistica, industriale nelle aree metropolitane del Nord hanno ricevuto prima a Torino (la polemica sulle conse·guenze della localizzazione a Rivalta Torinese di uno stabilimento della Fiat) e poi a Milano una verifica ed una conferma, noi possiamo du11que riconsiderare l'opportunità di accertare e di decidere a q_uali strumenti si deve ricorrere per predisporre un'efficace disciplina delle localizzazioni industriali; aggiunger1do che è sempre meglio tardi -cl1e mai. M_a sappiamo bene che, se anche molti degli argomenti adoperati contro i « disincentivi » cui voleva ricorrere Giolitti sono caduti, o si sono indeboliti, ce n'è uno, di questi argomenti, che sarà riproposto da coloro i quali non sono convinti dell'opportunità di predisporre una nuova disciplina delle localizzazioni industriali. Si dirà, cioè, che i disincentivi non hanno dato luogo agli auspicati dirottamenti delle localizzazio11i industriali, non hanno co11tribt1ito come si sperava alla decongestione di Londra e di Parigi, né all'industrializzazione della Scozia o dell'Aquitania. Sennonché, per quanto riguarda la valutazione dei risultati cl1e mediante la disciplina delle localizzazioni industriali si possono ottenere, e di quelli che sono stati effettivamente ottenuti quando tale disciplina è stata effettivamente applicata, si può riferire di due a·utorevoli testimonianze, l'una per la Francia e l'altra per la Gra11 Bretagna. S0110 testimonianze che del resto già chiamammo i11 causa nella polemica del 1964 e che sono ancora valide ed attuali. I disincentivi sono stati predisposti per Parigi nel 1955 e nel decennio successivo la popolazione della città è aumentata di 1.500.000 abitanti. M.a si può ritenere per certo che tale aume11to « sia stato frenato di t1n terzo grazie alla politica di decentramento industriale »; e cioè, ancl1e e forse soprattutto perché a partire dal 1955 s'è fatto ricorso ai disincentivi e si è deciso che, per localizzare nella regione di Parigi nuovi impianti industriali, si deve ottenere un'autorizzazione da concedersi soltanto in casi veramente eccezionali. Sembra giusta quindi la considerazione di Pierre George, uno dei più autorevoli studiosi francesi di geografia urbana: se dal decentramento di fabbriche « già domiciliate nella regione di Parigi » non ci si può attendere risultati « più spettacolari » di quelli che si sono ottenuti (e che tuttavia si sono ottenuti in una certa misura, il che offre un fondamento anche al suggerimento di Bassetti relativo alla possibil~tà di contrattare il dece11trar11ento al 13 Bi biiòtecaginobianco

· Francesco Compagna Sud di stabilimenti « domiciliati » nella regione di Milano), è senza dubbio un risultato notevole quello di avere « bloccato la crescita» della tentacolare capitale francese. La congestione _diParigi sarebbe insomma assai più grave se nel 1955 non s:i fossero predisposti i disincentivi. Ed infatti molte delle nuove fabbriche localizzatesi in provincia, prevalentemente a nord della Loira, ma anche ad ovest di Parigi, si sarebbero localizzate nelle immediate vicinanze di Parigi, qualora non fosse stata imposta una previdente disciplina delle localizzazioni industriali. Per quanto poi concerne la Gran Bretagna, la testimonianza cui si può attingere un'interessante indicazione è quella di George Chetwynd, già deputato conservatore (non laburista) e poi direttore del North-East Development Council. È significativo infatti che Chetwynd nel 1963 scrivesse che la « difficoltà maggiore», quando si vuole attirare l'industria fuori dalle zone di tradizionale industrializzazione, « consiste nell'innato conservatorismo degli industriali britannici, nella lorq riluttanza a far fronte ai mutamenti di convenienza, nella pura e semplice inerzia». Quanto pagano ora Milano e Torino « l'innato conservatorismo », e la « pura e semplice inerzia » dei loro industriali, lo si può ben constatare oggi! D'~ltra parte, l'incidenza della disciplina delle localizzazioni industriali in · Gran Bretagna risultava da quest'altra considerazione di Chetwynd: nella seconda metà degli anni cinquanta (ritenendo che la « prosperità » fosse diventata « duratura e ben diffusa ») c'è stato un rilassamento nella politica attiva di redistribuzione territoriale delle attività industriali (si è lasciato, cioè, che tale politica « sonnecchiasse») e di conseguenza si sono immediatamente manifestati nuovi e più gravi fenomeni di congestionamento nelle Midlands, nel Sud e nel Sud-est del paese; e in pari tempo si sono manifestati nuovi sintomi di «declino» nel Nord-est ed in generale fenomeni inflazionistici che hanno accompagnato le migrazioni delle forze di lavoro dal Nord-est alla regione di Londra ed a quella delle Midlands. Nei programmi dei partiti politici è stato poi inserito, dopo il rilassamento della seconda metà degli anni cinquanta, l'impegno per una . più rigorosa disciplina degli impianti industriali, con particolare riguardo all'applicazione delle disposizioni relative alla concessione di IDC (certificati di idoneità all'insediamento) per quelle imprese che pretendono di dover necessariamente impiantare nuovi stabilimenti nella regione di Londra, o in altre regioni congestionate, invece che 11elle regioni dove sono disponibili riserve di manodopera. ·Quindi, anche per la Gran Bretagna, si deve ritenere che i 14 Bibliotecaginobianco

.. «Il» problen1a: vecchi e nuovi terniini disincentivi, quando sono stati non solo predisposti, ma anche fatti funzionare con un certo rigore, hanno dato buoni risultati, sia pure nei limiti in cui potevano darli: buo11i risultati specialmente per quanto riguarda il contenimento della congestione demografica di Londra. D'altra parte, se è vero che le conseguenze negative si sono fatte sentire subito, quando, nell'applicazione della disciplina sulle localizzazioni industriali, nella concessione dei certificati di idoneità all'insediamento, è intervenuto un certo grado di rilassamento, se ne deve dedurre una controprova a dimostrazione dell'utilità effettiva e, anzi, della necessità, di una risoluta politica di localizzazione delle attività industriali, di u11a politica che possa avvalersi non solo degli incentivi, per promuovere lo sviluppo di certe regioni, n1a anche dei cosiddetti disincentivi, per arginare eventuali tendenze alla congestione che avessero a manifestarsi più o meno minacciose in altre regioni. Noi siamo stati sempre consapevoli della duplice necessità di intercettare le migrazioni interne con investimenti industriali nel . Sud e di non provocarle con investimenti industriali 11el Nord: della necessità, dunque, di incoraggiare la localizzazione nelle aree industrializzabili del Sud degli investimenti industriali di rilevanti l dimensioni e tali da provocare altri, complementari, i11vestimenti industriali, e in pari tempo della necessità di scoraggiare la localizzazione di questi investimenti in aree del Nord già densan1ente industrializzate e di più o meno cor1solidata piena occupazione. Ma evidentemente i tempi e gli animi non erano ancora maturi per imporre questa duplice necessità, per far sì che agli incentivi per il Sud si accompagnassero i disincentivi per il Nord. Ora, però, che si sono intensificate a Milano ed a Torino le manifestazioni di un miserabile urbanesimo, mentre la civile urbanizzazio11e del Sud procede più lentamente e più difficoltosamente di quanto non sarebbe stato possibile qualora tutti si fossero resi conto della necessità di una politica di localizzazione delle attività industriali non solo diretta ad intercettare, ma anche preoccupata di no11 provocare le migrazioni delle forze di lavoro meridionali, si può e si deve impostare questa politica delle localizzazioni industriali: il che significa anche pre11dere in considerazione le proposte di Bassetti sulla enalizzazione delle aziende che provocano immigrazioni di mano·- dopera in aree congestionate e su li incora iamenti a calìzzazior1i » nel Sud che risultassero poss1 ili e convenienti quando fossero valutate- in rapporto a quelle penalizzazioni. Ma significa anzitutto mettere a punto la ~etodologia della contrattazione pro15 Bibiiotecag inobianco

Francesco Compagna grammata anche nei suoi rapporti con una nuova disciplina dell · localizzazioni industriali, fondata su misure amministrative di autorizzazione alla localizzazione degli impianti _di rilevanti dimensio11i. Si dirà naturalmente che una disciplina delle localizzazioni industriali potrebbe in q11esto momento scoraggiare quegli investimenti che si vogliono e che si devono incoraggiare. M.a la verità è che sono gli i11vestin1enti nel Sud che devono essere incoraggiati prioritariame11te, perché gli investimenti che cr~ano nuovi posti di lavoro là dove questi posti di lavo"ro no11 possor10 essere coperti che ricorrendo all'immigrazione cli manodopera dal Sud, provocano . effetti negativi ormai noti, prevalenti sugli effetti positivi di maggiore occupazio11e. Sono le aziende, qua11to meno le aziende di · rilevanti dimensioni, che devono essere messe di fronte alle loro responsabilità, perché ognuna di esse proceda all'esame delle possibilità e delle convenienze di creare nel Sud, o anche di spostare verso il Sud, posti di lavoro che solo con le riserve di ma11odopera del Sud si possono coprire. È nel quadro di queste esigenze, e di queste co11siderazioni, che dev'essere letto il discorso del Presidente del Consiglio a Bari, in occasione dell'inaugurazione della Fiera del Levante. Certamente si è trattato del più impegnativo discorso meridionalista che un Presidente del Consiglio abbia 1nai pronunciato: di un discorso ricco di punti di riferin1ento per le prossime polemiclìe sulla congit1ntura e sulle riforme, sulla spesa pubblica e sulla progra1nmazione, sui consumi e sugli investime11ti, mçt che pre·ventivamente ha ricondotto tutte queste polemiche all'affermazione che il problema del Mezzogiorno non è « uno » dei problemi italiani, « ma il problema caratterizzante l'ordinato sviluppo del aese ne li anni $ettantét ». Ed è con questa a ermaz1one c e Colombo ha implicitamente richiamato quella concezione meridionalista dello sviluppo italiano che Saraceno aveva teorizzato nella sua relazione di Bari del 1° marzo 1969 e che aveva subito dopo ispirato l'ordine del giorno votato dalla Camera a conclusione del suo dibattito sulla politica meridionalista; ed ha esplicitamente assunto l'irnpegno che a questa concezio11e dev'essere ispirata una riabilitata politica di piano. Va pure rilevata, a nostro giudiziG, ed a conferma di questo impegno, la chiarezza con la quale il Presidente del Consiglio - oggi alle· prese con il difficilissimo compito di reperire risorse da destinare alle case, agli ospedali, ai trasporti, nel quadro di efficaci rifor1ne per questi settori sociali - ha dimostrato di sentire il pericolo che le riforme si limitino, più o meno dispendiosamente, 16 Bibiioteca-ginobiarico

«Il» problenia: vecchi e nuovi termini a curare gli effetti di quei fenomeni patologici dell'urbanesin10 le cui cause sono tutte identificabili nel rapporto fra il Nord, che da tempo ha raggiunto la piena occupazione delle forze di lavoro, e il Sud, dove ancora imperversano la disoccupazione e, nelle sue varie forme, la sottoccupazione. Torna a questo proposito il ·tema cui accennavamo in un precedente articolo (nel numero di agostosettembre della rivista) e che si può precisare in questi termini: 1 non avremo mai risolto durevolmente il problema delle case, degli ospedali, dei trasporti (e delle scuole) a Milano e Torino, o altrove, se non avremo preventivamente risolto il problema dei posti di. lavoro .nel Mezzogiorno; se continueremo a creare nel Nord posti di lavoro da coprire con il ricorso agli immigrati dal Sud; se non riuscire1no, come ha detto Colombo a Bari, ad « assecondare il principio per cui capitali e capacità imprenditoriali devono spostarsi verso le zone dove sovrabbonda il lavoro », contrasta11do attivamente, come finora non abbiamo fatto, l'errato principio « per il quale il lavoro si è spostato sempre più verso le zone dove sovrabbondano capitali e capacità imprenditoriali ». Non è soltanto la possibilità di sviluppo del Sud che è in gioco, ma anche, e ormai prima di tutto, la necessità per Milano e per Torino di non diventare città inabitabili, di non essere soffocate da una crescente congestione! Questo significa non solo che è destinata a fallire una politica di riforme ~ui non corrisponda una congrua ripresa degli investimenti direttamente produttivi, ma più precisamente che la politica delle riforme non potrebbe che fallire se alla congrua ripresa degli investimenti produttivi non dovesse corrispondere una politica di localizzazione delle attività industriali, e quindi anzitutto dei nuovi investimenti produttivi, « più decisa di quelle finora attuate » (a11che queste sono parole del Presidente del Consiglio). Sono passati vent'anni da quando ha cominciato ad operare la Cassa per il Mezzogiorno: non si dica, quindi, che sono insoddi~ sfacenti le condizioni per localizzare nel Sud la gra11 parte degli investimenti industriali che si vogliono e si devono promuovere. A chi, nei confronti di quest'esigenza fatta valere da Colombo nel discorso di Bari, volesse formulare un'obiezione del genere, la risposta è stata già data, pure a Bari, ed ancora una volta da Pasquale Saraceno, relatore con Manlio Rossi Doria alla « Giornata del Mezzogiorno » (il convegno che si è svolto in Fiera due giorni dopo il discorso inaugurale ~el Presidente del Consiglio): si è costituita ormai nel Mezzogiorno, grazie all'intervento straordinario, 17 Bibl iotecaginobianco --

Francesco Compagna « una dotazione di infrastrutture i11 molti casi eccedente i fabbi- . sogni dell'attività produttiva che effettivamente si svolge; ed è i11 atto un meccanismo di intervento che è in grado di aumentare tale dotazione ad un ritmo non inferiore a quello possibile nelle regioni più avanzate ». Si tratta, quindi, oltretutto, di valorizzare le infrastrutture già predisposte, invece di accollare alla finanza pubblica sempre nuovi oneri per creare o per ampliare opere pubbliche là dove la saturazione ha reso insufficiente la pur cospicua dotazione di infrastrutture. Abbiamo dunque gli impegni meridionalistici del discorso di Colombo; l'appello di Saraceno e Rossi Doria, nelle loro relazioni alla « Giornata del Mezzogiorno », per una mobilitazione di tutta l'industria italiana ai fini della soluzione del problema « caratterizzante l'ordinato sviluppo del paese»; le polemiche sulla nuova immigrazione· provocata a Milano dalle assunzioni dell'Alfa Romeo, ---- _ ____, . pel]a Pirelli, _ g_~lla Siemens; le propos~e di Bassetti per una con1 A · attazione regiorni1e- d1 una nuova <lisci lina delle localizzaiioni V/ industriali; una certa disposizione delle più responsa ·1i amministrazioni ocali e dei più responsabili ambienti sindacali a tener conto delle preoccupazioni che i meridionalisti hanno fatto presenti da anni e che si sono dimostrate non infondate; il recupero nella relazione previsionale e program1natica di temi ·che Giolitti aveva ·r-- proposto fin dal suo primo passaggio per il Mi11istero del Bilancio: ~ ~ I tutto questo sembra preludere a qualcosa di nuovo, forse alla riaC\~, '#!. bilitazione della programmazione secondo la concezione meridiona1o. ij ~ lista dello sviluppo italiano. - R_ ~ Altre volte ci siamo affidati alla sensazione o all'impressione \ ~ che fosse imminente una svolta in senso meridionalistico e altre ~ \ vf"- volte alle fiduciose attese sono subentrate le constatazioni più o meno amare di un affievolimento dell'impegno meridionalistico e di una sua subordinazione a diverse esigenze. Ma questa volta il problema di un più .deciso e soprattutto più coerente impegno meridionalistico si pone contestualmente a quello della programmazione che dev'essere riabilitata; e la soluzione di quello è condizionante della soluzione di questo, così come è condizionante ai fini della soluzione di tutti i problemi che si sono posti e si sono aggravati nelle aree metropolitane del Nord. Questi nessi, queste interdipendenze, questi impatti sono diventati assai più evidenti, e constatabili, di quanto non lo fossero quando non erano ancora constatabili, ma soltanto prevedibili. Si può, qui11di, contare su .una maggiore consapevolezza da parte di tutti della necessità di far valere quelle 18 Bibiiotecaginobianco_

. ' « Il » problema: vecchi e nuovi termini che si sogliono definire le priorità meridionaliste; e di farle valere nel quadro della concezione meridionalista dello sviluppo italiano, come polo di orientamento della programmazione riabilitata. Ma c'è anche un'altra questione di fondo che oggi deve impegnare la riflessione dei meridionalisti, e non dei meridionalisti soltanto: la questione dell'impatto fra rilancio effettivo dell'intervento straordinario per il Mezzogiorno e attuazione dell'ordinamento regionale. Va detto con molta chiarezza che l'ordinamento regionale non è la ricetta per avviare a guarigione le piaghe del Mezzogiorno. Chi si attende dalle Regioni, dall'attuazione dell'ordinamento regio11ale,soluzioni facili di problemi difficili, come quelli che concorrono a formare il grande nodo della questione meridionale, naviga tra le illusioni e rischia di naufragare tra le delusioni. D'altra parte, se è vero che l'attuazione dell'ordinamento regionale non è la ricetta, si può ammettere che essa fornisce un'occasi~ne. T'ale occasione, come tutte le occasioni, J;?UÒ essere colta e può essere sciupataLM.a si dev'essere coscienti che è pÌù facile sciuparla di quanto non sia facile coglierla. Tanto più che, ad impedire una presa di coscienza attiva delle difficoltà che definiscono l'impatto fra attuazione dell'ordinamento regionale e politica di sviluppo economico e civile del Mezzogiorno, c'è un at · mento di massin1alismo regionalistico, di enfasi reg1ona ista, di miracolismo regi · e è diffuso in ambienti della ·ca, specialmente della sinistr o · 1ana, che è strumentalmente alimentato dai comunisti (la Regione come a ternativa al a Cassa per · og1orno , 'éhe rischia-di far degenerare comuÌique e dovunque ·r'autonomia r:e ionale in anarchia regionalistica, che può indurre anclle a sottovalutare i per1co o c e 1 1ona 1smo, se male inteso, possa provocare un aggravamento, invece di un miglioramento, delle condizioni di squilibrio fra Nord e Sud. Vale forse la pena di ricordare che ci fu a suo tempo un'appassionata polemica ra Napoleone Cola· anni, che v le Re ioni, e Giustino · e poiché gli argomenti portati dall'uno e dall'altro conservano.un considerevole valore di attualità, i regionalisti lungimiranti e responsabili potrebbero anche rimeditare su quegli argomenti e valutare fino a che punto ed a quali condizioni si può ricavare dall'attuazione dell'ordinamento regionale tutto il bene che se 11e riprometteva Colajanni, evitando tutto il male che suscitava le preoccupazioni di Giustino Fortunato. Certo, i tempi sono cambiati e nuovi problemi si sono aggiunti a quelli intorno ai quali disputavano ~ due campioni della prima genera19 Bibiioteca·ginobianco I I

Francesco Con1pagna zione di meridionalisti. Ma, per quantò riguarda la grande questione · del rapporto fra centralismo amministrativo e modo di gestire il o iorno, le cose so:i;ioassai-mentre-ambiate za di uan non ossa sem rare c I SI erma a considerare soltanto le modificazioni che sono In erv nute nelle forme della vita civile e della lotta politica. E difatti, fra gli uomini politici che considerano la Regione come una ricetta (anzi, la ricetta), pure ve ne sono che partono dalla giusta co11siderazione che il centralismo burocratico-amministrativo ha sempre coperto, e addirittura protetto, le vecchie classi dirige11ti che nel Mezzogiorno esercitano il potere senza saperlo e senza volerlo gestire efficacemente nell'interesse di tutti. Questi uomini politici, quindi, ritengono che il Mezzogiorno abbia tutto da guadagnare nel momento in cui « arrivano » le Regioni. Ma la Regione non ha consentito in Sicilia di passare dal tradizionale malgoverno all'auspicato buongoverno! Né i fatti di Pescara, e più ancora quelli di Reggio Calabria, autorizzano una diagnosi rassicurante per quanto riguarda la buona disposizione dei locali ceti dirigenti a cogliere l'occasione che le Regioni dovrebbero rappresentare per il Mezzogiorno! Se poi si considerano i Consigli regionali del Mezzogiorno nella loro composizione, non si può dire che già dalla provenienza e dalla qualificazione degli eletti del 7 giugno risulti che gli « uomini nuovi » siano tanti e tali da preannunciare la formazione, grazie alle Regioni, di una nuova classe dirigente, più capace di quella tradizionale di sentire e servire gli interessi generali. La classe dirigente tradizionale del M.ezzogiorno ha compromesso alla periferia, facendola degenerare in senso clientelistico, l'attuazione delle buone decisioni adottate del centro quando sono state adottate (Cassa, riforma agraria, credito industriale, per esempio): e se gli eletti del 7 giugno nei Consigli regionali del Mezzogiorno fossero ancora e prevalentemente esponenti dei tradizionali ceti dirigenti, reclutati fra coloro che non hanno trovato spazio a livello parlamentare o che sono riusciti a farsi promuovere dai livelli comunali e provinciali al 11uovo livello regionale? E se gli « uomini nuovi» di cui si è auspicato l'avvento, nei Consigli regionali, fossero in prevalenza quelli maturati nel clima della partitocrazia e della correntocrazia, moderni per la loro capacità di manovrare tra i problemi di schieramento, ma non per la loro capacità di sentire e servire gli interessi generali, di modificare i dati storici della questione meridionale? Sono domande cl1e i meridionalisti devono porsi, pur non escludendo affatto che l'esperienza dei Consigli regionali, come già quella dei CRPE, possa con20 Bibliotecaginobianco

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