Sebastiano Di Giacomo dell'irrigazione prog.ettata so•no piutto,sto scarse. Con qt1esto non si vuol dire che sia preferibile rinunciare del tutto ai piani di irrigazione. Si vuole sen1plicen1ente mettere in dubbio la convenienza eco1 no-mica di irrigare una così vasta estensione di territorio. Secondo studi qualificati, l'irrigazio11e potrebbe interessare tutt'al più la st1perficie pianeggiante della regione, nonché i pochi ettari della superficie colli11are adiacente agli invasi da sistemare in prossimità delle alture. Il fatto che esista la possibilità, per le tecnolo,gie moderne, di irrigare finanche la montagna, non deve portare alla redazione di progetti miranti ad inserirsi nella politica di programmazione, la quale deve tener conto, se vuole avere dei rist1ltati apprezzabili, delle conseguenze sociali ed economiche dei diversi interventi. E quando si rendono noti p•rogetti del genere alle po1 polazioni interessate, che il più delle volte non sono in grado di rendersi conto, dei rist1ltati che ne deriverebbero, si finisce con l'esercitare t1na indiretta pressione sui politici; e se qt1esti non daranno corso ai progetti, sa·ranno incolpati di avere eluso le aspirazioni con tanta irresponsabilità s11scitate. Si arriva così al,l'assurdo della progettazione di un invaso presso Atella, nel Melfese, per irrigare circa 3 mila ettari di terreno a 5-600 metri di altitudine, con una spesa rilevante per la costruzione di gallerie, lo spostamento tii un acquedotto, ecc., senza minimamente considerare gli enormi pro·blemi che ne deriverebbero. I terreni interessati sono suddivisi in appezzamenti ridottissimi, come d'altronde quelli di tutta la Basilicata; ed è noto che l'irrigazione è conveniente solo1 se interessa imprese agricole di notevoli dimensioni. Che senso ha dunque voler iniziare i lavori di una diga prima di procedere ad una razionale ristrutturazione fondiaria (ossia all'accorpamento di proprietà parcellari)? Si crede davvero che la ristrutturazio,ne possa essere fatta a lavori ultimati? Gli ostacoli sociali e giuridici sono enormi; non sarà facile procedere ad un esproprio in favore di imprese private. Oppure si pensa di attendere che si verifichi l'accorpamento sponta11eo? I tempi sarebbero comunque assai lungl1i. La tendenza è tuttavia proprio verso l'accorpamento spontaneo. Il mancato riadattamento e lo scarso sfruttamento di terreni a coltivazione este11siva (la povera cerealicoltura della collina e della montagna) provocano un massiccio esodo, che va ad aggiungersi all'esodo dei coltivatori della pianura. I primi ad essere abbandonati sono i terreni delle zo-ne più alte. Poiché i prezzi di vendita di questi terreni sono modesti, moiti sono in grado di acquistarli, dando vita ad aziende di discrete dimensioni, cl1e per il mo,mento rimangono incolte. Fatti analoghi, anche se in numero ridotto, si verificano pt1re per le zone collinari. , 240 Bibiiotecaginobianco
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