Argo1nenti condo la citata indagine del CNEL - sono alla base degli investimenti stranieri nell'indus 1tria alimentare italiana. Tali motivazioni sono sostanzialmente tre, e valgono anche per i gruppi finanziari italiani: la possibilità di creare una maggiore integrazione produttiva all'interr10 del Mercato comu11e; la possibilità di introdursi su un mercato, come quello italiano, ancora caratterizzato da un basso livello di co11sumo di prodotti dell'industria alimentare-conserviera, ma in fase di espansione; la presenza di materie prime che è possibile trasformare, completamente o parzialmente, nel nostro paese e indirizzare poi all'estero, o alle catene di distribuzione del gruppo, o ad altri stabilimenti del gru1Jpo stesso per altre lavorazioni. Ma il ritardo si supera solo a patto che si intervenga anche negli altri settori produttivi. Sono anni che in Italia si parla di una strozzatura nell'o-fferta agricola, troppo limitata nel tempo e qualitativamente no•n sempre risponde11te alle richieste dell'industria. Siamo convinti, a questo riguardo, che sarà la stessa grande industria alimentare a risolvere, co-n la sua forza ed intervenendo, direttamente, il ·problema dell'adeguamento della produzione agricola alle nuove esigenze dell'industria alimentare moderna. Il gap più difficile da colmare resta, al contrario, quello della commercializzazione. Ci sono in Italia troppi negozi al minuto (otto ogni mille abitanti), più del doppio di quelli, ad esempio, esiste11ti in Germania. Il continuo aumento del piccolo esercizio al dettaglio, con bassissime cifre d'affari - si ripete in ogni convegno sull'industria alime11tare - è un freno allo svilup·po di una i11dustria· moderna, « in quanto nessuna impresa alimentare possiede una organizzazione diretta di vendita tale da raggiungere un così elevato nun1ero di negozi ». La stessa indagine del CNEL, più volte ricordata, afferma che « una simile struttura, oltre a portare un aggravio di costi di ,distribuzione e sollevare problemi di organizzazione commerciale sconosciuti in altri paesi, non permette il pieno svilup•po dei maggiori complessi industriali nel settore alimentare. Si rende infatti possibile la presenza di marche di in1portanza secondaria dotate di una estensione cor11merciale limitata, e in grado di raggiungere una quota troppo esigua della rete ,di vendita nazionale. La. struttura del mercato rende anche difficile l'ingresso di una grande impresa che voglia distribuire i suoi prodotti su scala veramente nazionale ». E che la nostra caotica distribuzione possieda un indubbio potere deterrente, è dato dal fatto che, come riferisce Galeazzo Santini nel citato numero di « Successo », essa è riuscita ad impedire alla ditta dolciaria MARS ( 600 milioni di dollari di fatturato) di attuare il suo progetto di penetrazio,ne in Italia. Accanto ai' pro,blemi connessi con un diverso sviluppo del settore 65 Bi.biiotecaginobianco
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