Nord e Sud - anno XVII - n. 127 - luglio 1970

Argomenti toria e di pastificazione sta smantellando la vecchia struttura aziendale, e anche in questo caso, nel lungo cammino verso la nuova industria, si possono distinguere due fasi. La prima riguarda principalmente l'adozione di nuove tecnologie e una più capillare penetrazione sul mercato di consumo, la seconda corrisponde ad una gamma di produzione più estesa e diversificata e all'integrazione delle diverse attività aziendali, fino all'organizzazione diretta dell'apparato commerciale. La « mortalità aziendale » in un settore alimentare produttore di beni « poveri » in un periodo di forte incremento nei consumi di beni « ricchi » è stata quindi particolarmente elevata. L'industria molitoria ha subìto,, negli ultimi anni, una flessione media annua delle produzioni pari all'l,7 per cento; mentre l'industria della pastificazione, malgrado, l'incremento delle esportazioni, ha registrato un incremento medio annuo delle produzioni pari all'l,0 per cento, tasso inferiore a quello dell'incremento demo,grafico. Il Mezzogiorno, che fino a pochi anni fa (al censimento ·del 1961) concentrava poco meno della metà delle unità locali e dell'occupazione complessiva, ha pagato il prezzo più alto di questa crisi produttiva; gli unici casi di nuovi investimenti produttivi sono stati effettuati in regioni nuove (Umbria, Emilia, Lombardia) anziché in quelle tradizionali (Campania e Sicilia). Si è modificata, dunque, anche la tradizionale geografia dell'industria di pastificazione, industria che al 1966 - secondo lo IASM - si era ridotta a 629 pastifici, con una diminuzione di oltre un quinto rispetto al numero dei pastifici esistenti sul finire degli anni '60. Inoltre, due anni dopo, gli impianti attivi erano stati valutati in non più di 600, con un'ulteriore flessione, tra cessazioni di attività e fallimenti, pari al 5-7 per cento degli impianti funzionanti. Barilla e Buitoni hanno fatto il vuoto alle loro spalle: la prima con t1n fatturato che raggiunge i 43 miliardi (21 miliardi nel 1963) e con un nuovo stabilimento alle porte di Parma che raggiunge i mille quintali al giorno di produzione; la seconda con un fatturato di oltre 40 miliardi, che si avvale anche dell'esperienza organizzativa e del capitale della consociata Perugina. Le altre aziende resisto·no 1 con maggiore o minore successo a seconda delle loro capacità finanziarie. Ad esempio, in Campania, il pastificio Ama1to e la so~ietà Cirio stanno reagendo con buoni risultati, anche se qt1esto comporta la chiusura di vecchi impianti e la concentrazione in nuovi stabilimenti. Ma la ragione di questa crisi profonda non va ricercata soltanto· nella caduta dei tradizionali consumi « poveri» di farinacei; l'altro motivo non meno importante, e forse determinante, è dato dai progressi compiuti dall'industria meccanica nel cicld di produzio,ne. Al vecchio i1npianto « a ·caduta » si è sostituito il nuovo impianto « in linea », ciò 63 Bi.bl'iotecag·inobianco

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