Nord e Sud - anno XVII - n. 127 - luglio 1970

Argomenti parto produttivo nel quale limitati ed episodici sono i casi di entrata di nuove imprese, mentre rilevanti appaiono le uscite per sop·pressione totale delle attività. I nuovi investimenti, che pure si sono avuti negli anni trascorsi e continuano ancora ad aversi secondo ritmi elevati, .sono infatti promossi quasi unicamente da imprese già operanti nel settore, che sulla base di posizioni più sane e vantaggiose riescono a rinnovare i loro impianti o a diversificare la gamma delle originarie serie di produzione. Inoltre anche le iniziative totalmente nuove ed autonome risultano spesso collegate, almeno finanziariamente, alla parte più attiva e dinamica delle imprese già operanti nel settore ». Si può, quindi, ritenere che il quadro polverizzato e frazionato che l'industria alimentare italiana ancora presentava al censimento del 1961 (ben 55 mila imprese, 433 mila ad-detti ed un numero medio di appena 8 addetti per impresa) si sia parzialmente ricomposto. La dimensione media degli impianti è aumentata in tutti i comparti del settore, il grado di svilup,po tecnologico è cresciuto, il fatturato medio per addetto si è sensibilmente innalzato, la stessa concentrazione territoriale è diminuita in numerosi comparti. Le ragioni di questo svilupp·o, sviluppo - è bene ,dirlo subito - che ha sostanzialmente lasciato invariato il livello complessivo di occup·azione, vanno ricercate innanzi tutto nell'avvio, durante gli anni '60, di quella che può ritenersi come una vera e pro,pria « rivoluzione alimentare », che ha profondamente modificato i consumi dell'italiano medio. Di pari passo con l'aumento del reddito, il consumatore italiano è passato dai beni di prima necessità ai beni di « lusso », aumentando, sia pure in misura minore rispetto a quanto ci si sarebbe potuti aspettare, il co11sumo dei cosiddetti « beni alimentari ricchi » e tra questi innanzitutto il consumo dei beni alimentari industriali. Difatti, in una società capitalistica avanzata, o se si preferisce in una società neocapitalistica, come già osservava Francesco Forte in un suo articolo pubblicato sul « Nuovo Osservatore» nel gennaio del 1965, vi è posto per una gamma ampiamente diversificata di consumi alimentari. Al p•rodotto, però, vanno garantiti gli standards qualitativi e le tecniche di produzione, di confezione, presentazione, distribuzione che valgono in una società di questo genere. Inoltre occorre rendersi conto che, essendo ormai i mercati diventati « mercati di massa », bisogna uscire dallo stadio puramente artigianale, valendosi di tecniche produttive e distributive moderne. Tutto questo sembra sia stato compreso _almeno dal grosso dell'industria alimentél;re italiana, se è vero che dalla fase del « pro.dutto 1 re » con il suo mercato ristretto ed estremamente rigido, si è passati - o meglio 51 Bibliotecaginobianco

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