, Monza settant'anni fa guanto di velluto, i sitoi m.inistri cortigiani adoperarono il pugno di ferro. Il giuoco diventò troppo aperto. Il Parlamento non volle saperne della tesi di Sonnino e la piazza esasperata rispose con le rivoltellate di Bresci ... Il regicidio diede alla discussione un epilogo tragico: fu una interruzione brusca, non una risposta al problema istituzionale » 1 • Ritiene chi scrive che questo giudizio• sia pienamente da condividere, non senza sottolineare che esso, pronunziato nel 1931, dovette essere bene ponderato, costituendo altresì un atto di coraggio critico e politico. Come si osservava poco fa, Umberto I coincide infatti col periodo formativo del nuovo Stato, allorquando cioè affiorano dapprima ed esplodono, poi tutti i problemi lasciati insoluti, anzi evitati e accantonati dalla unificazione. Una situazione di tal fatta, che generalmente non sfiora neppure la figura dei sovrani nelle monarchie costituzionali, non può a meno di riflettersi in un modo, o nell'altro nei regnanti di casa Savoia, a motivo di quella politica perso11ale, che costituì sempre un leitmotiv nella linea tradizionale della Casa stessa. Umberto I, uomo men che mediocre e privo di ogni dote politica, sarebbe stato indubbiamente un capo di Stato qualunque, passato quasi inosservato, in un regime pacifico e non scosso da gravi problemi, quale fu il suo. E furono proprio questi problemi a condurlo su un terreno che non gli era proprio e dove egli, in ossequio alla linea dinastica poco fa ricordata, dovette fronteggiare situazioni ed eventi estremamente delicati, e frammezzo ai quali egli si muoveva con pesantezza e con grande impaccio,. Fu chiamato il « re buono »: e sembra che effettivamente d'animo buono e ·caritatevole egli fosse; ma certo è che, se meno buono egli fosse stato, ma più dotato e avveduto politicamente, avrebbe forse evitato molte di quelle calamità, che gli tornarono, fatali. Sta peraltro di fatto che, se non uccise, lasciò che si uccidesse; se non rubò, fu assai sollecito a incrementare il proprio patrimonio; se fu mal servito, scelse egli stesso i propri servitori. Del resto, ciò che egli sia stato o no,n sia stato, ha qui scarso rilievo. Una cosa è certa: egli fu ciò che non poteva non essere: un Savoia, e in quanto• tale, gelosissimo ed estremament~ vigile assertore della propria prerogativa regale, restio a comprendere ogni motivo politico che trascendesse la sfera degli i11teressi dinastici, ancorché - e in questo contrasto puramente psicologico affiora la sua bonomia e la sua sancta simplicitas - manifestasse spesso ·di interessarsi per la sorte degli umili e degli sventurati. Giova peraltro ricordare che a tener vivo in lui il senso dinastico, c'era in famiglia chi ci pensava: era la sua avve1 N. QUILICI, Origine e sviluppo della borghesia italiana, ed. S.A.T.E., Ferrara, 1932, p. 256, nota. 107 Bi bi iotecag inobianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==