Nord e Sud - anno XVII - n. 126 - giugno 1970

Lucio Rosaia rativa: molti individui rimangono assenti da casa per 12 ore al giorno e quindi no·n sono molto lontani dalle 72 o~e lavqrative settimanali dell'operaio del 1830 che viveva vicino al posto di lavoro ». Quanti so·no in Italia gli operai ed i contadini che per tirare avanti devono fare il « secondo mestiere » o gli straordir1ari? E quanti sono i braccianti, i contadini, gli operai, gli impiegati, le commesse, che per raggiungere alle 8 il luogo di lavoro devono alzarsi alle 6 e alla sera non possono rientrare alla loro casa prima delle 19? Esiste una ricerca seria e documentata a questo proposito? Poi vanno considerate le conseguenze della dinamica del lavoro. Non si può sottovalutare l'influenza negativa di tec11iche di lavoro che furono progettate senza tener conto dell'uomo che avrebbe dovuto applicarle e alle quali l'uo·mo è stato poi adattato (oggi si riconosce la necessità di rovesciare i termini del rap·porto uomo-lavoro adattando, invece, il lavoro all'uomo, e quindi intervenendo già a livello di progettazio·ne degli im,pi1 anti e delle macchine), ma sop,rattutto· va sottolineata l'azione usurante esplicata dal lavoro uniforme e 1nonotono, caratteristico della fabbrica moderna. La medicina moderna insiste soprattutto sull'influenza negativa esercitata dal disinteresse per il lavoro parcellare, dalla squalificazione pro-· fessionale collegata all'automazione di molte lavorazioni, dallo, stato di spersonalizzazione e di isolamento affettivo in cui l'operaio si trova all'interno della fabbrica, infine dalle tensioni di gruppo che si sviluppano a livello ·dei rapporti di produzione. « Il più grande pericolo che può correre un operaio in una fabbrica moderna - scrive S. Lilley - non è tanto quello di impazzire fino ad esplodere, come ·Chaplin, i11 un'eroica protesta, quanto piuttosto il pericolo di essere ri1dotto allo stato di autom.a da un sistema che lo tratta appunto da automa. Le capacità inutilizzate tendono ad atrofizzarsi. E troppo spesso l'operaio adibito ad un lavoro monotono si abitua talmente alla routine da arrivare a temere qualsiasi responsabilità ed ogni attività costruttiva. È nota la storia di quell'uomo che aveva speso anni ad avvitare un bullone su un eterno flusso . di ponti posteriori. Egli trovò un nuovo posto in una fabbrica di conserve, in cui doveva scegliere le ciliege man mano che venivano avanti lungo la cinghia: le nere a sinistra, le bianche a destra. Le condizioni erano buone, il salario eccellente. Ma appena giunto alla fine della settimana, domandò indi 1 et·ro le sue oarte: 'È la responsabilità che mi butta giù', spiegò, ' sempre decisioni, decisioni, decisioni! ' È inutile dire che l'aneddoto pecca per eccesso. Ma la tendenza che esso pone in caricatura, è una realtà». 92 Bibliotecaginobianco •

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