Giornale a più voci tori», alla teoria leninista del potere, la quale restava ancora l'unica teoria generale. Il leninismo, sorto come dottrina e più ancora come tecnica di rivoluzione, fu pertanto elevato a norma generale del movimento operaio e socialista. Su questa strada esso si andò inesorabilmente trasformando in « mito giustificazionista»; che non poteva più avere altra giustificazione che quella della ragion di Stato o di partito e che consentiva alle burocrazie dei partiti di costruire e difendere contro tutto e contro tutti i propri privilegi di casta, non già di classe. In forza di questa specie di metafisica generale, che, proprio perché contiene tutte le conoscenze, trascende ogni conoscenza particolare, le oligarchie dei partiti strutturati sul modello leninista hanno preteso sempre di comandare agli specialisti e di essere competenti a giudicare la loro attività: Zdanov pretendeva di saperne più di Pasternak o di Prokofiev sull'estetica, più di Einstein sulla fisica; Stalin poteva ogni volta improvvisarsi grande linguista, grande stratega e grande storico; Togliatti stesso, come ha ricordato Silone sul « Corriere della sera » del 22 aprile, poteva liquidare le teorie economiche di Graziadei senza curarsi di discuterle e meno che mai di farle discutere nel partito; e se ne potrebbero citare ancora degli altri, di casi come questi. Tuttavia, le realizzazioni leniniste dell'idea socialista, pur contrassegnate da difetti così evidenti e da contraddizioni così acute, si sono finora rivelate in grado di poter resistere, più o meno a lungo, alla marcia della storia e di poter ancora apparire seducenti per milioni di persone e nei posti più diversi del mondo, come si è visto in occasione del centenario della nascita di Lenin. Perché? Vuol dire forse che è stata la storia, e non gli Stati ed i partiti comunisti, a promuovere il leninismo al rango di Weltanschaung ufficiale del socialismo, ad unica interpretazione autorizzata della realtà, a nuova, superiore e definitiva versione del marxismo? No: questa mistica fede nel leninis,mo come « marxismo dell'età dell'imperialismo» è preferibile lasciarla ad alcune più violente frange della contestazione studentesca ad Occidente e ad alcuni più radicali leaders dei f ellahin dell'Africa del Nord o dei peones dell'America Latina. La fedeltà alla fonnazione e al metodo liberale, sia nella ricostruzione storica sia nell'analisi politica, impone certamente di dover rendere giustizia al leninisn10, non dimenticando che le vie della libertà sono infinite e che, per quanto vivo possa essere in noi l'anelito ad una pacifica convivenza degli uomini, la storia non ha ancora cancellato la forza come uno dei momenti dell'azione politica. Al comunismo, proprio nella sua versione leninista, non si può non riconoscere la funzione storica di aver saputo sviluppare l'ottocentesca re]igione marxiana della lotta di classe in una dottrina e in un. metodo che comportavano il ricorso alla violenza, ma che erano al servizio di una causa e di un'idea cui ogni spirito sinceramente democratico deve aderire in tutta la sua urgenza e in tutto il suo fascino: la promozione delle 1nasse. Per questa via il comunismo ha sconvolto logori schemi sociali, ha risvegliato le aspirazioni e la volon_tà combattiva di masse immerse in un 39 Bib~iotecaGino Bianco
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