Nord e Sud - anno XVII - n. 125 - maggio 1970

Mario Pendinelli del Ministero dell'Agricoltura e della RAI-TV (che dedica ai coltivatori due trasmissioni televisive settimanali interamente ispirate dalla bonomiana) non serve a mascherare iil fallimento di una politica sbagliata. La « civiltà contadina»: una concezione ereditata dalle peggiori tradizioni del populismo cattolico, appare sempre di più come un mondo di sopravvissuti in una società che, sia pure tra gravi squilibri e contraddizioni, va avanti. A questo punto, lo vogliano o no Bonomi e la Coldiretti, è soltanto una questione di tempo e, in ogni caso, è una questione sottratta alla loro volontà: se l'industrializzazione del paese continuerà, e magari se essa si svolgerà ad un ritmo più rapido, nei prossimi dieci anni il mondo rurale di cui è figlio il coriandolo di terra, sarà stato inghiottito: non esisterà più, così come non esiste già nei paesi più avanzati. Qual'è invece il problema che si pone oggi? Si tratta di sapere qual'è il ruolo che spetta all'agricoltura in una società industriale avanzata, quale potrebbe essere quella italiana di qui a pochi anni. È un problema che anche i comunisti ,si sono posti nel corso della confe,. renza agra.ria che hanno tenuto a Bari nel marzo scorso. Il PCI non ha certo minori responsabiilità di quelle della Coldiretti, nella scelta di una politica agraria che anche i comunisti hanno voluto, nel passato, orientata verso la piccola proprietà contadina. La scelta del PCI in questa direzione non fu certo dettata da motivi ideologici ma, piuttosto, dal fatto che i braccianti erano disponibili per il fondo, certamente non per il « collettivo». Dopo fu giocoforza per i comuni,sti invocare la politica assistenziale e quella degli alti prezzi come antidoto per le difficoltà che la piccola proprietà contadina si è trovata di fronte (costi di produzione molto alti e redditi bassi). Ora, però, si è detto, il PCI sembra essersi reso conto dei limiti di questa politica. E proprio a Bari, il senatore Gerardo Chiaromonte ha riconosciuto, sia pure con le consuete sfumature, il ritardo che il PCI ha accusato nell'elaborare una politica agraria moderna, spingendosi fino ad esprimere una valutazione più cauta, meno perentoriamente negativa, di quel « Piano Mansholt » che, solo qualche mese prin1a, i comunisti avevano ,liquidato senza nemmeno accettare di discuterlo. Ma, a Bari, Chiaromonte ha soprattutto respinto il mito della « civiltà contadina», sacrificandolo (è sembrato senza troppi rimpianti), all'esigenza di riaccorpare le imprese, di ampliare la superficie dei coriandoli di terra, di fare, insomma, la vera riforma agraria degli anni '70, che è quella della ricomposizione e del riordino fondiario, così come, agli inizi degli anni 'SO, la riforma da farsi era quella per abbattere il latifondo. È vero che tutte queste cose interessanti e nuove Chiaromonte le ha poi smentite, qualche giorno dopo averle dette a Bari, in un articolo sull' « Unità». Ma è difficile pensare che Chiaromonte alla Conferenza agraria del PCI abbia p~rlato a caso, senza che dietro H suo discorso ci fosse stato uno sforzo di rielaborazione della politica agraria del PCI compiuto dalla direzione comunista. È molto più probabile, semmai, che l'articolo sull' « Unità» sia stato scritto per non turbare i quadri periferici e le leghe contadine alla vigilia di una consultazione elettorale. 34 BibliotecaGino Bianco

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